MS10.
L’Approccio Motivazionale alle cure dei DA
Mini-review: Luxardi G
Strategie di intervento nei diversi settori dei DA: Come costruire l’alleanza terapeutica? Come costruire l’alleanza terapeutica?
Centro per i Disturbi Alimentari, S.Vito al Tagliamento, ASL n.6 “Friuli occidentale”
Premesse. L’interesse per gli aspetti motivazionali nel trattamento dei disturbi alimentari e dell’obesità (e precedentemente in altri ambiti) e il conseguente sviluppo e utilizzo di tecniche specifiche, ha rappresentato un vero e proprio cambiamento di paradigma nella concettualizzazione del rapporto medico-paziente. Marita Pozzato cita opportunamente alcune considerazioni di Wandereyken. Mi permetto di aggiungere una sua risposta, durante un convegno di alcuni anni fa, a chi gli chiedeva cosa facesse con i pazienti poco collaboranti. La risposta fu: “Il mio lavoro è quello di motivare le persone”. Ciò presuppone una visione attiva del paziente: una persona competente cui si chiede di partecipare alla pianificazione e all’attuazione del trattamento. Nel processo motivazionale le ragioni del paziente, le sue idee così come i suoi dubbi e i suoi timori vengono seriamente considerati e diventano materiale di costruzione del piano terapeutico. Le difficoltà e le incomprensioni non sono lette come insubordinazioni, ma come rotture del processo comunicativo che vanno ricomposte. Al contrario, come nota Roberta Situlin, un atteggiamento direttivo del terapeuta incrementa ulteriormente le resistenze.
Motivazione e alleanza terapeutica. In questo senso, come rilevano tutti i relatori, la riflessione sul lavoro motivazionale si pone in parallelo con quella sull’alleanza terapeutica. Come ampliamente evidenziato dalla letteratura, la qualità dell’alleanza terapeutica è il predittore più affidabile dell’efficacia di un trattamento. I casi con esito insoddisfacente evidenziano un processo interpersonale negativo e i terapeuti più efficaci riescono a facilitare lo sviluppo di un’alleanza terapeutica. Se una buona alleanza iniziale è predittiva di un buon outcome e deboli alleanze sono correlate al drop-out, viceversa, segni iniziali di cattiva alleanza non sono necessariamente predittori negativi. Questo dato apparentemente contraddittorio suggerisce che a svolgere un ruolo di primo piano nel determinare l’outcome sia proprio il processo che porta a riconoscere ed esplorare le rotture dell’alleanza. È evidente come un atteggiamento del terapeuta diretto a migliorare la motivazione del paziente, nella fase iniziale e in ogni momento in cui si presenti un ostacolo, faccia parte di questo lavoro.
Le teorie sulla motivazione. La valutazione della motivazione non è un processo banale. Tutti i relatori hanno sottolineato che esistono sfumature differenti, variamente determinate. La letteratura presenta una messe di teorie che mettono in evidenza, nel loro insieme e in un’ottica di complessità, differenti componenti che vanno a combinare la tavolozza motivazionale di ogni singolo soggetto. Alcune di queste enfatizzano un approccio razionale alla decisone (p.e. Health Belief Model, Theory of planned behavior), altre introducono elementi emozionali (p.e. modello di Leventhal), altre ancora focalizzano l’attenzione su aspetti relativi al sé (p.e. modello dell’autoefficia di Bandura). Altre teorie evidenziano aspetti dinamici, come il processo di sviluppo di una motivazione intrinseca (Self-Determination Theory), o il cambiamento dello stato motivazionale nel tempo (Modello Transteoretico di Prochaska e DiClemente), che mostra come, al variare delle fasi corrisponda una gestalt differente cui conseguono valutazioni e interventi diversi. Come ha notato efficacemente Roberta Situlin, questi contributi teorici non solo forniscono una cornice interpretativa, ma sono risultati predittivi, nel caso dell’obesità omeostatica, di calo ponderale e di mantenimento del peso perso.
Fattori favorenti e sfavorenti. I contributi focalizzano bene una serie di fattori che possono presentarsi in modo trasversale alle differenti patologie: fattori di personalità, quali rigidità, aspetti narcisistici, ossessivi e di perfezionismo che si ritrovano nel comportamento anoressico e ne enfatizzano l’egosintonia, strutture caratterizzate da cicli interpersonali problematici o con franca comorbilità in asse II. Come fanno notare Lorenza Carli e Marita Pozzato, ciò rivela la funzionalità dei sintomi nella gestione delle emozioni, delle relazioni e di alcuni stati del sé. Quando i sintomi assumono una funzione regolatrice le pazienti non riescono a rinunciarvi. Condizioni relazionali problematiche amplificano il problema cosicché, con le parole di Lorenza Carli, l’allontanamento dall’ambiente familiare, la possibilità di potersi concentrare su se stessi e nuove relazioni con altri pazienti spesso contribuiscono a indurre nuove speranze di poter cambiare. Gli obiettivi di un ricovero, nei casi più gravi, sono riconducibili al ripristino di possibili scenari futuri di cambiamento. Piergiuseppe Vinai mette in risalto le variabili cognitive, in particolare le teorie naif, ossia la visione ingenua che la persona ha della sua situazione e dei modi in cui potrebbe essere risolta. Se questa non collima con quella del terapeuta, la possibilità di rotture dell’alleanza terapeutica è piuttosto elevata. Anche Roberta Situlin da evidenza alla lettura che il paziente fa della propria condizione: nel sovrappeso la molteplicità e la complessità dei comportamenti coinvolti (alimentazione, attività fisica, farmaci), il fallimento di precedenti terapie, l’onerosità degli impegni quotidiani determinano un’elevata ambivalenza verso i cambiamenti.
Differenze tra le patologie. Le quattro relazioni sono calibrate su patologie diverse con approcci motivazionali differenti e in qualche modo graduati. Chi soffre di anoressia ha un rapporto egosintonico con i propri sintomi: cambiare è ai suoi occhi a volte più terrificante che non cambiare, ci ricorda Lorenza Carli. Marita Pozzato mostra come, nella bulimia, la persona può esplicitare una richiesta di aiuto e avere una disponibilità al cambiamento per alcuni dei propri sintomi, ma non per tutti. L’abbuffata ad es. può essere vissuta come rottura della propria capacità di controllo e quindi, in modo egodistonico, come un agito che interferisce con l’autostima. Piergiuseppe Vinai mette in guardia sul fatto che, se nel BED la concordanza paziente/terapeuta è spesso alta per quanto riguarda gli scopi da raggiungere, non altrettanto si può dire dei comportamenti necessari ad attuarli. Riportando dati di letteratura fa notare che molti pazienti pensano di poter perdere peso solo affrontando le cause psicologiche del loro disagio, senza ridurre né le abbuffate né l’eccessivo introito calorico. Per quanto riguarda l’obesità omeostatica, ricorda Roberta Situlin, si riscontra un’elevata ambivalenza verso i cambiamenti dello stile di vita richiesti dal trattamento.
Strategie. Lorenza Carli sottolinea come la costruzione di una motivazione efficace nell’anoressia sia il risultato di un processo di empowerment. Per alcuni pazienti, che hanno subito gravi danni emotivi, il miglioramento del quadro motivazionale non può prescindere dalla realizzazione di esperienze emotivamente correttive in contesti di cura che considerino contemporaneamente il piano nutrizionale, psicologico, comportamentale e relazionale. Per Marita Pozzato si trova una maggior predisposizione al cambiamento in soggetti che riescono a riconfigurare il concetto di sé, allontanandosi dalla centralità data al peso e alla forma corporea. È cruciale che il soggetto si percepisca come un attivo partecipante nella costruzione del piano di cura e possa sviluppare delle strategie di incremento della tolleranza allo stress. Altrettanto rilevante è la gestione degli aspetti emotivi e interpersonali. La mentalizzazione di sensazioni interne, inizialmente poco chiare, permette di costruire un contenuto narrativo che può favorire l’autoefficacia in alternativa ai sintomi. L’attenzione agli aspetti relazionali, come la vulnerabilità al criticismo, è ugualmente centrale. Vinai, nel trattamento del BED, stressa l’importanza delle componenti cognitive e afferma che la comprensione dei meccanismi responsabili dei sintomi e delle ricadute, la condivisione delle difficoltà della terapia e la focalizzazione sui vantaggi futuri rapportati ai sacrifici attuali, rappresentino la base del processo di motivazione. Roberta Situlin, nell’ambito dell’obesità omeostatica, sottolinea il versante dell’operatore, ricordando l’importanza dell’acquisizione di abilità di comunicazione e di un buon livello di adesione alle tecniche ed allo spirito motivazionali. Gli interventi motivazionali, tenuto conto dei limiti delle risorse, dovrebbero essere utilizzati anche della medicina di base e della prevenzione.
Conclusioni. Nei lavori presentati dai relatori, vi è concordanza sull’utilità degli interventi motivazionali nei rispettivi ambiti trattati, così come sul carattere di sfida che vi è insito. Ci troviamo in ambiti in cui un lavoro condiviso con il paziente è un risultato da raggiungere, non un presupposto. Citando Massimo Cuzzolaro, direi che è necessaria una certa temerarietà, passione e gusto della sfida. Si tratta delle stesse risorse di cui ha bisogno il paziente, noi dobbiamo fungere da veicolo di trasmissione.
Bibliografia.
1. Safran JD, Muran JC (2001) “Teoria e pratica dell'alleanza terapeutica” Editori Laterza
2. Majani G (2001) “Compliance, adesione, aderenza, i punti critici della relazione terapeutica” Mc Graw-Hill, Milano
3. Castellani W, Ianni L, Ricca V, Mannucci E, Rotella CM (2003) “Adherence to structured physical exercise in overweight and obese subjects: a review of psychological models” Eat Weight Disord 8, 1-11.
4. Silva MN, Markland D, Minderico CS, Vieira PN, Castro MM, Coutinho SR, Santos TC, Matos MG, Sardinha LB, Teixeira PJ (2008) “A randomized controlled trial to evaluate self-determination theory for exercise adherence and weight control: rationale and intervention description” BMC Public Healt 8, 234
5. Luxardi GL, Todisco P, Vinai P (2007) “Quando viene meno la voglia di cambiare: la stagnazione terapeutica e le ricadute” In Vinai P, Todisco P “Quando le emozioni diventano cibo. Psicoterapia cognitiva del Binge Eating Disorder” Libreria Cortina Milano.
L’Approccio Motivazionale alle cure dei DA
Mini-review: Luxardi G
Strategie di intervento nei diversi settori dei DA: Come costruire l’alleanza terapeutica? Come costruire l’alleanza terapeutica?
Centro per i Disturbi Alimentari, S.Vito al Tagliamento, ASL n.6 “Friuli occidentale”
Premesse. L’interesse per gli aspetti motivazionali nel trattamento dei disturbi alimentari e dell’obesità (e precedentemente in altri ambiti) e il conseguente sviluppo e utilizzo di tecniche specifiche, ha rappresentato un vero e proprio cambiamento di paradigma nella concettualizzazione del rapporto medico-paziente. Marita Pozzato cita opportunamente alcune considerazioni di Wandereyken. Mi permetto di aggiungere una sua risposta, durante un convegno di alcuni anni fa, a chi gli chiedeva cosa facesse con i pazienti poco collaboranti. La risposta fu: “Il mio lavoro è quello di motivare le persone”. Ciò presuppone una visione attiva del paziente: una persona competente cui si chiede di partecipare alla pianificazione e all’attuazione del trattamento. Nel processo motivazionale le ragioni del paziente, le sue idee così come i suoi dubbi e i suoi timori vengono seriamente considerati e diventano materiale di costruzione del piano terapeutico. Le difficoltà e le incomprensioni non sono lette come insubordinazioni, ma come rotture del processo comunicativo che vanno ricomposte. Al contrario, come nota Roberta Situlin, un atteggiamento direttivo del terapeuta incrementa ulteriormente le resistenze.
Motivazione e alleanza terapeutica. In questo senso, come rilevano tutti i relatori, la riflessione sul lavoro motivazionale si pone in parallelo con quella sull’alleanza terapeutica. Come ampliamente evidenziato dalla letteratura, la qualità dell’alleanza terapeutica è il predittore più affidabile dell’efficacia di un trattamento. I casi con esito insoddisfacente evidenziano un processo interpersonale negativo e i terapeuti più efficaci riescono a facilitare lo sviluppo di un’alleanza terapeutica. Se una buona alleanza iniziale è predittiva di un buon outcome e deboli alleanze sono correlate al drop-out, viceversa, segni iniziali di cattiva alleanza non sono necessariamente predittori negativi. Questo dato apparentemente contraddittorio suggerisce che a svolgere un ruolo di primo piano nel determinare l’outcome sia proprio il processo che porta a riconoscere ed esplorare le rotture dell’alleanza. È evidente come un atteggiamento del terapeuta diretto a migliorare la motivazione del paziente, nella fase iniziale e in ogni momento in cui si presenti un ostacolo, faccia parte di questo lavoro.
Le teorie sulla motivazione. La valutazione della motivazione non è un processo banale. Tutti i relatori hanno sottolineato che esistono sfumature differenti, variamente determinate. La letteratura presenta una messe di teorie che mettono in evidenza, nel loro insieme e in un’ottica di complessità, differenti componenti che vanno a combinare la tavolozza motivazionale di ogni singolo soggetto. Alcune di queste enfatizzano un approccio razionale alla decisone (p.e. Health Belief Model, Theory of planned behavior), altre introducono elementi emozionali (p.e. modello di Leventhal), altre ancora focalizzano l’attenzione su aspetti relativi al sé (p.e. modello dell’autoefficia di Bandura). Altre teorie evidenziano aspetti dinamici, come il processo di sviluppo di una motivazione intrinseca (Self-Determination Theory), o il cambiamento dello stato motivazionale nel tempo (Modello Transteoretico di Prochaska e DiClemente), che mostra come, al variare delle fasi corrisponda una gestalt differente cui conseguono valutazioni e interventi diversi. Come ha notato efficacemente Roberta Situlin, questi contributi teorici non solo forniscono una cornice interpretativa, ma sono risultati predittivi, nel caso dell’obesità omeostatica, di calo ponderale e di mantenimento del peso perso.
Fattori favorenti e sfavorenti. I contributi focalizzano bene una serie di fattori che possono presentarsi in modo trasversale alle differenti patologie: fattori di personalità, quali rigidità, aspetti narcisistici, ossessivi e di perfezionismo che si ritrovano nel comportamento anoressico e ne enfatizzano l’egosintonia, strutture caratterizzate da cicli interpersonali problematici o con franca comorbilità in asse II. Come fanno notare Lorenza Carli e Marita Pozzato, ciò rivela la funzionalità dei sintomi nella gestione delle emozioni, delle relazioni e di alcuni stati del sé. Quando i sintomi assumono una funzione regolatrice le pazienti non riescono a rinunciarvi. Condizioni relazionali problematiche amplificano il problema cosicché, con le parole di Lorenza Carli, l’allontanamento dall’ambiente familiare, la possibilità di potersi concentrare su se stessi e nuove relazioni con altri pazienti spesso contribuiscono a indurre nuove speranze di poter cambiare. Gli obiettivi di un ricovero, nei casi più gravi, sono riconducibili al ripristino di possibili scenari futuri di cambiamento. Piergiuseppe Vinai mette in risalto le variabili cognitive, in particolare le teorie naif, ossia la visione ingenua che la persona ha della sua situazione e dei modi in cui potrebbe essere risolta. Se questa non collima con quella del terapeuta, la possibilità di rotture dell’alleanza terapeutica è piuttosto elevata. Anche Roberta Situlin da evidenza alla lettura che il paziente fa della propria condizione: nel sovrappeso la molteplicità e la complessità dei comportamenti coinvolti (alimentazione, attività fisica, farmaci), il fallimento di precedenti terapie, l’onerosità degli impegni quotidiani determinano un’elevata ambivalenza verso i cambiamenti.
Differenze tra le patologie. Le quattro relazioni sono calibrate su patologie diverse con approcci motivazionali differenti e in qualche modo graduati. Chi soffre di anoressia ha un rapporto egosintonico con i propri sintomi: cambiare è ai suoi occhi a volte più terrificante che non cambiare, ci ricorda Lorenza Carli. Marita Pozzato mostra come, nella bulimia, la persona può esplicitare una richiesta di aiuto e avere una disponibilità al cambiamento per alcuni dei propri sintomi, ma non per tutti. L’abbuffata ad es. può essere vissuta come rottura della propria capacità di controllo e quindi, in modo egodistonico, come un agito che interferisce con l’autostima. Piergiuseppe Vinai mette in guardia sul fatto che, se nel BED la concordanza paziente/terapeuta è spesso alta per quanto riguarda gli scopi da raggiungere, non altrettanto si può dire dei comportamenti necessari ad attuarli. Riportando dati di letteratura fa notare che molti pazienti pensano di poter perdere peso solo affrontando le cause psicologiche del loro disagio, senza ridurre né le abbuffate né l’eccessivo introito calorico. Per quanto riguarda l’obesità omeostatica, ricorda Roberta Situlin, si riscontra un’elevata ambivalenza verso i cambiamenti dello stile di vita richiesti dal trattamento.
Strategie. Lorenza Carli sottolinea come la costruzione di una motivazione efficace nell’anoressia sia il risultato di un processo di empowerment. Per alcuni pazienti, che hanno subito gravi danni emotivi, il miglioramento del quadro motivazionale non può prescindere dalla realizzazione di esperienze emotivamente correttive in contesti di cura che considerino contemporaneamente il piano nutrizionale, psicologico, comportamentale e relazionale. Per Marita Pozzato si trova una maggior predisposizione al cambiamento in soggetti che riescono a riconfigurare il concetto di sé, allontanandosi dalla centralità data al peso e alla forma corporea. È cruciale che il soggetto si percepisca come un attivo partecipante nella costruzione del piano di cura e possa sviluppare delle strategie di incremento della tolleranza allo stress. Altrettanto rilevante è la gestione degli aspetti emotivi e interpersonali. La mentalizzazione di sensazioni interne, inizialmente poco chiare, permette di costruire un contenuto narrativo che può favorire l’autoefficacia in alternativa ai sintomi. L’attenzione agli aspetti relazionali, come la vulnerabilità al criticismo, è ugualmente centrale. Vinai, nel trattamento del BED, stressa l’importanza delle componenti cognitive e afferma che la comprensione dei meccanismi responsabili dei sintomi e delle ricadute, la condivisione delle difficoltà della terapia e la focalizzazione sui vantaggi futuri rapportati ai sacrifici attuali, rappresentino la base del processo di motivazione. Roberta Situlin, nell’ambito dell’obesità omeostatica, sottolinea il versante dell’operatore, ricordando l’importanza dell’acquisizione di abilità di comunicazione e di un buon livello di adesione alle tecniche ed allo spirito motivazionali. Gli interventi motivazionali, tenuto conto dei limiti delle risorse, dovrebbero essere utilizzati anche della medicina di base e della prevenzione.
Conclusioni. Nei lavori presentati dai relatori, vi è concordanza sull’utilità degli interventi motivazionali nei rispettivi ambiti trattati, così come sul carattere di sfida che vi è insito. Ci troviamo in ambiti in cui un lavoro condiviso con il paziente è un risultato da raggiungere, non un presupposto. Citando Massimo Cuzzolaro, direi che è necessaria una certa temerarietà, passione e gusto della sfida. Si tratta delle stesse risorse di cui ha bisogno il paziente, noi dobbiamo fungere da veicolo di trasmissione.
Bibliografia.
1. Safran JD, Muran JC (2001) “Teoria e pratica dell'alleanza terapeutica” Editori Laterza
2. Majani G (2001) “Compliance, adesione, aderenza, i punti critici della relazione terapeutica” Mc Graw-Hill, Milano
3. Castellani W, Ianni L, Ricca V, Mannucci E, Rotella CM (2003) “Adherence to structured physical exercise in overweight and obese subjects: a review of psychological models” Eat Weight Disord 8, 1-11.
4. Silva MN, Markland D, Minderico CS, Vieira PN, Castro MM, Coutinho SR, Santos TC, Matos MG, Sardinha LB, Teixeira PJ (2008) “A randomized controlled trial to evaluate self-determination theory for exercise adherence and weight control: rationale and intervention description” BMC Public Healt 8, 234
5. Luxardi GL, Todisco P, Vinai P (2007) “Quando viene meno la voglia di cambiare: la stagnazione terapeutica e le ricadute” In Vinai P, Todisco P “Quando le emozioni diventano cibo. Psicoterapia cognitiva del Binge Eating Disorder” Libreria Cortina Milano.