MS01.1.
Centro Clinico La cura del Girasole-Onlus, Roma
Funzione genitoriale e genitori reali: ma le madri sono sempre responsabili?
Montecchi F, Bufacchi C, Montecchi FR
Premessa. Nel passato la cultura scientifica e la pratica clinica hanno individuato nella genesi e nel decorso dei DCA la problematicità della relazione simbiotica stabilita dalla madre con la figlia. Il riferimento alla madre reale in rapporto alle prime fasi di sviluppo va tuttavia corretto, specie nei casi in cui la presenza di una patologia alimentare può spingere ad assumere atteggiamenti giudicanti e colpevolizzanti. Quest’atteggiamento è antiterapeutico, perché una madre colpevolizzata non può fornire la collaborazione necessaria al successo di una terapia.
Conoscenze della letteratura. In particolare già gli studi sistemico - relazionali e le iniziali ipotesi del pensiero (1,2) occupandosi delle patologie alimentari, descrivono molto spesso, soprattutto nell’area mediterranea e latina(3), madri centrali ed ipercontrollanti. Una rilettura psicodinamica rivelava, poi, come questa centralità sia la strategia relazionale con cui queste donne cercano di fronteggiare le loro intense angosce. Non potendo fruire di propri spazi e di situazioni relazionali in grado di assorbire e trasformare le loro angosce, le madri delle anoressiche si concentrano sulle figlie. In tal modo cercano e sperano di esorcizzare e neutralizzare le angosce derivanti dalle fantasie di morte o di danneggiamento riguardanti la figlia che, comparse durante la gravidanza, continuano a permeare il loro rapporto (4).
Metodologia. La nostra casistica è costituita soprattutto da casi di DCA di età pre-puberale/puberale all’esordio. Nel nostro modello operativo, la valutazione diagnostica e il progetto terapeutico sono centrati sia sul/sulla paziente e sul contesto familiare e si lavora a livello individuale in una ottica psicodinamica e a livello trans generazionale, sia della linea materna che paterna.
Discussione. Quanto emerso ci ha indicato che piuttosto che far riferimento alla problematicità della madre reale, è più utile riferirsi al “materno” incarnato dalla madre reale, ma presente anche nel padre. Lo sviluppo di un disturbo alimentare va legato non alla”madre” ma ad una “funzione materna” problematica in cui sono centrali il disagio e le angosce derivanti dalle fantasie di morte o di danneggiamento che, già presenti durante la gravidanza, continuano a permeare il loro rapporto: focalizzare l’attenzione solo sulla donna rischia di considerare la madre come l’unica o la principale responsabile della patologia del figlio/a, iscrivendosi in vecchi schemi il cui avallo, cosciente e/o inconscio da parte dei terapeuti è inutile e dannoso ai fini della riuscita del trattamento.
Nella struttura familiare non è danneggiata solo la funzione materna, ma anche quella paterna appare problematica, spesso debole e assente; alla centralità della madre si accompagna in queste famiglia una perifericità del padre. È evidente quindi una particolare problematicità di entrambe le funzioni genitoriali, in un patologico e collusivo incastro relazionale, che causa nel figlio/a un profondo disagio, manifestato attraverso il disturbo alimentare. Il padre spesso è stato figlio amato di una madre dominante che gli ha richiesto alte prestazioni intellettive, una madre che ha sempre aspirato e richiesto, manifestamente o sotterraneamente, al figlio, successo nella scuola e nella società. Quando questo figlio, amato dalla madre, si stacca dalla famiglia di origine e si immette nella società, sposta le richieste provenienti dalla madre reale verso la "mamma società” (6), adeguandosi alle aspettative che la "madre società” a suo avviso potrebbe rivolgergli e impegnandosi a raggiungere il successo. I padri sono spesso uomini che hanno raggiunto il successo professionale o sono protesi verso un successo professionale, per soddisfare un materno interiorizzato che li ha portati lontani dalle loro nuove famiglie. Padri periferici, la cui assenza è complementare alla centralità delle madri.
Questi padri assenti sono fortemente desiderati dai figli con DCA che, non potendo avere con loro un rapporto reale, li idealizzano. Per esempio, l’anoressica per essere amata dal padre, cerca di soddisfare quelle che crede siano le sue aspettative, aspettative simili a quelle che il padre ha assorbito dalla propria madre e che coincidono quasi sempre con alte prestazioni intellettive e con il raggiungimento del successo.
Nel corso dello sviluppo, dai due/tre anni fino alla pubertà, il figlio/a deve uscire dal mondo materno e poi dal mondo familiare per accedere al mondo sociale e deve sciogliersi dal vincolo del materno, ma per riuscire in questa impresa ha bisogno di un paterno che lo accolga e lo aiuti. La debolezza della figura paterna non permette di spezzare il legame fusionale con la madre. La mancanza di una figura paterna che lo rassicuri nel momento del suo distacco dalla madre, rende problematico questo passaggio.
Mancando di un paterno valido che ne sostenga e accompagni l’evoluzione, il figlio/a devono aggrapparsi all’unico maschile disponibile, quello di cui è portatrice la madre. Ma il maschile della madre è spesso un Animus problematico, con cui questa donna, lasciata sola dal suo compagno è stata costretta, per solitudine e angoscia, a identificarsi. Confrontati con un paterno debole (che non riesce a essere liberatorio per la figlia femmina, né identificatorio per il figlio maschio) e con un materno negativo e fallico, il bambino e la bambina resteranno imbrigliati nel mondo materno.
Conclusioni. Quanto emerge dalle nostre valutazioni orienta poi il focus su cui centrare l’intervento non tanto lavorando sull’area materna quanto sul paterno, valorizzandone le risorse che possono entrare in campo con un rinforzo della funzione paterna intesa sia come immagine intrapsichica che come relazione con il paterno
Bibliografia.
1. Selvini Palazzoli M (1963) “L’anoressia mentale” Milano, Feltrinelli
2. Selvini Palazzoli M (1995) “La rivalutazione della madre nel processo terapeutico” Seminario tenuto al Nuovo Centro di Terapia della Famiglia di Milano, inedito
3. Minuchin S, Rosman BL, Baker L (1980) “Famiglie psicosomatiche. L'anoressia mentale nel contesto familiare” Ubaldini, Roma
4. Montecchi F (2009) “Il cibo-mondo persecutore minaccioso” Franco Angeli, Milano
5. Woodman (1985) “Puoi volare farfalla. Psicologia femminile e trasformazione” Red, Como, 1987.
6. Montecchi F (1997) “Famiglia reale e archetipo familiare in Montecchi F (a cura di) Il gioco della sabbia nella pratica analitica, Franco Angeli, Milano.
Centro Clinico La cura del Girasole-Onlus, Roma
Funzione genitoriale e genitori reali: ma le madri sono sempre responsabili?
Montecchi F, Bufacchi C, Montecchi FR
Premessa. Nel passato la cultura scientifica e la pratica clinica hanno individuato nella genesi e nel decorso dei DCA la problematicità della relazione simbiotica stabilita dalla madre con la figlia. Il riferimento alla madre reale in rapporto alle prime fasi di sviluppo va tuttavia corretto, specie nei casi in cui la presenza di una patologia alimentare può spingere ad assumere atteggiamenti giudicanti e colpevolizzanti. Quest’atteggiamento è antiterapeutico, perché una madre colpevolizzata non può fornire la collaborazione necessaria al successo di una terapia.
Conoscenze della letteratura. In particolare già gli studi sistemico - relazionali e le iniziali ipotesi del pensiero (1,2) occupandosi delle patologie alimentari, descrivono molto spesso, soprattutto nell’area mediterranea e latina(3), madri centrali ed ipercontrollanti. Una rilettura psicodinamica rivelava, poi, come questa centralità sia la strategia relazionale con cui queste donne cercano di fronteggiare le loro intense angosce. Non potendo fruire di propri spazi e di situazioni relazionali in grado di assorbire e trasformare le loro angosce, le madri delle anoressiche si concentrano sulle figlie. In tal modo cercano e sperano di esorcizzare e neutralizzare le angosce derivanti dalle fantasie di morte o di danneggiamento riguardanti la figlia che, comparse durante la gravidanza, continuano a permeare il loro rapporto (4).
Metodologia. La nostra casistica è costituita soprattutto da casi di DCA di età pre-puberale/puberale all’esordio. Nel nostro modello operativo, la valutazione diagnostica e il progetto terapeutico sono centrati sia sul/sulla paziente e sul contesto familiare e si lavora a livello individuale in una ottica psicodinamica e a livello trans generazionale, sia della linea materna che paterna.
Discussione. Quanto emerso ci ha indicato che piuttosto che far riferimento alla problematicità della madre reale, è più utile riferirsi al “materno” incarnato dalla madre reale, ma presente anche nel padre. Lo sviluppo di un disturbo alimentare va legato non alla”madre” ma ad una “funzione materna” problematica in cui sono centrali il disagio e le angosce derivanti dalle fantasie di morte o di danneggiamento che, già presenti durante la gravidanza, continuano a permeare il loro rapporto: focalizzare l’attenzione solo sulla donna rischia di considerare la madre come l’unica o la principale responsabile della patologia del figlio/a, iscrivendosi in vecchi schemi il cui avallo, cosciente e/o inconscio da parte dei terapeuti è inutile e dannoso ai fini della riuscita del trattamento.
Nella struttura familiare non è danneggiata solo la funzione materna, ma anche quella paterna appare problematica, spesso debole e assente; alla centralità della madre si accompagna in queste famiglia una perifericità del padre. È evidente quindi una particolare problematicità di entrambe le funzioni genitoriali, in un patologico e collusivo incastro relazionale, che causa nel figlio/a un profondo disagio, manifestato attraverso il disturbo alimentare. Il padre spesso è stato figlio amato di una madre dominante che gli ha richiesto alte prestazioni intellettive, una madre che ha sempre aspirato e richiesto, manifestamente o sotterraneamente, al figlio, successo nella scuola e nella società. Quando questo figlio, amato dalla madre, si stacca dalla famiglia di origine e si immette nella società, sposta le richieste provenienti dalla madre reale verso la "mamma società” (6), adeguandosi alle aspettative che la "madre società” a suo avviso potrebbe rivolgergli e impegnandosi a raggiungere il successo. I padri sono spesso uomini che hanno raggiunto il successo professionale o sono protesi verso un successo professionale, per soddisfare un materno interiorizzato che li ha portati lontani dalle loro nuove famiglie. Padri periferici, la cui assenza è complementare alla centralità delle madri.
Questi padri assenti sono fortemente desiderati dai figli con DCA che, non potendo avere con loro un rapporto reale, li idealizzano. Per esempio, l’anoressica per essere amata dal padre, cerca di soddisfare quelle che crede siano le sue aspettative, aspettative simili a quelle che il padre ha assorbito dalla propria madre e che coincidono quasi sempre con alte prestazioni intellettive e con il raggiungimento del successo.
Nel corso dello sviluppo, dai due/tre anni fino alla pubertà, il figlio/a deve uscire dal mondo materno e poi dal mondo familiare per accedere al mondo sociale e deve sciogliersi dal vincolo del materno, ma per riuscire in questa impresa ha bisogno di un paterno che lo accolga e lo aiuti. La debolezza della figura paterna non permette di spezzare il legame fusionale con la madre. La mancanza di una figura paterna che lo rassicuri nel momento del suo distacco dalla madre, rende problematico questo passaggio.
Mancando di un paterno valido che ne sostenga e accompagni l’evoluzione, il figlio/a devono aggrapparsi all’unico maschile disponibile, quello di cui è portatrice la madre. Ma il maschile della madre è spesso un Animus problematico, con cui questa donna, lasciata sola dal suo compagno è stata costretta, per solitudine e angoscia, a identificarsi. Confrontati con un paterno debole (che non riesce a essere liberatorio per la figlia femmina, né identificatorio per il figlio maschio) e con un materno negativo e fallico, il bambino e la bambina resteranno imbrigliati nel mondo materno.
Conclusioni. Quanto emerge dalle nostre valutazioni orienta poi il focus su cui centrare l’intervento non tanto lavorando sull’area materna quanto sul paterno, valorizzandone le risorse che possono entrare in campo con un rinforzo della funzione paterna intesa sia come immagine intrapsichica che come relazione con il paterno
Bibliografia.
1. Selvini Palazzoli M (1963) “L’anoressia mentale” Milano, Feltrinelli
2. Selvini Palazzoli M (1995) “La rivalutazione della madre nel processo terapeutico” Seminario tenuto al Nuovo Centro di Terapia della Famiglia di Milano, inedito
3. Minuchin S, Rosman BL, Baker L (1980) “Famiglie psicosomatiche. L'anoressia mentale nel contesto familiare” Ubaldini, Roma
4. Montecchi F (2009) “Il cibo-mondo persecutore minaccioso” Franco Angeli, Milano
5. Woodman (1985) “Puoi volare farfalla. Psicologia femminile e trasformazione” Red, Como, 1987.
6. Montecchi F (1997) “Famiglia reale e archetipo familiare in Montecchi F (a cura di) Il gioco della sabbia nella pratica analitica, Franco Angeli, Milano.