MR07
Formazione e Psicoterapie : I modelli clinici e le qualità del terapeuta influenzano l’efficacia della terapia? E’ ipotizzabile un percorso formativo specifico per la psicoterapia dei DA ?
Psichiatra - Psicologo analista didatta e docente del Centro Italiano di psicologia Analitica (CIPA) Istituto di Roma – Segretario scientifico SIS-DCA
Caputo G
Introduzione. Le conoscenze attuali sembrano indicare che l’elemento determinante per l’efficacia di una psicoterapia non è ascrivibile al modello teorico seguito, ma alla qualità della relazione ovvero alla personalità del terapeuta e al particolare “incontro” con il paziente (1). Dunque ciò che svolge un ruolo centrale è rappresentato dalla soggettività dei partecipanti all’esperienza. E’ possibile che un modello teorico riesca ad esprimere meglio di un altro specifiche qualità di un certo terapeuta. I grandi maestri, i fondatori di nuovi approcci teorici e di scuole che hanno mantenuto valore nel tempo, hanno sviluppato cambiamenti a partire dalle proprie esigenze rispetto a modelli che sentivano limitanti. Gli esempi in tal senso sono noti e molteplici. Se riconosciamo il valore di questi dati, è doveroso chiederci come la formazione di uno psicoterapeuta ne debba tener conto. Sappiamo che nei DA la relazione terapeutica propone particolari difficoltà e ci domandiamo dunque se si possa pensare ad una specifica formazione per la psicoterapia alla luce delle nostre affermazioni.
Struttura. Con un breve intervento introduttivo si propone il superamento del confronto di efficacia dei diversi modelli di psicoterapia a favore di studiare una loro integrazione, che non va intesa come la necessaria acquisizione da parte di ogni terapeuta della conoscenza teorica e clinica dei diversi approcci. Non è oggi accettabile nel confronto con patologie complesse come i DCA immaginare che i singoli modelli teorici possano rispondere pienamente a tutte le esigenze cliniche e alle diverse soggettività dei pazienti. Allargare le conoscenze teoriche significa aplificare le capacità del terapeuta, la sua cultura, la sua sensibilità. In tal senso è corretto pensare ad una ulteriore fase formativa specifica. Gli interventi di Cerro, Cotugno e Migliorini sono infatti volti a mostrare come approcci diversi possano presentare diverse qualità di relazione rispetto a diversi modelli. Cerro enfatizza la qualità dell’ascolto, della regolazione emotiva interattiva e delle tematica controtrasferali rispetto al paziente anoressico. Questo intervento si propone, attraverso una disamina dei modelli principali di psicoterapia esistenti, di individuare alcuni fattori trasversali a diversi modelli, che potrebbero aiutare il terapeuta a sintonizzarsi con quegli stati affettivi intensi che risultano spesso inesprimibili nel paziente con DA. Cotugno illustra gli obiettivi che guidano la relazione terapeutica rispetto al modello cognitivo-evoluzionista. L’attenzione alla relazione terapeutica, agli aspetti interpersonali e al ruolo delle funzioni metacognitive, costituisce la cifra distintiva di tale approccio, che consente di integrare la focalizzazione sulle distorsioni cognitive con una specifica attenzione al ruolo di mantenimento patologico delle dinamiche interpersonali ( “cicli cognitivo-interpersonali”). Migliorini ribadisce quanto sia indispensabile possedere un modello formativo di riferimento, a patto che questo (il modello al quale si riferisce è il cognitivo-costruttivista) mantenga quella flessibilità che consenta al terapeuta di “essere” nella relazione. Infatti è la relazione interpersonale il nucleo fondamentale dell’attività professionale stessa e dunque la formazione del terapeuta dovrà proporsi di promuovere competenze che vadano dal “sapere” al “saper fare” e in parte anche dal “sapere” al “saper essere”. Gli interventi di Nizzoli e magone hanno un contenuto diverso e il loro obiettivo è quello di rappresentano una cornice necessaria al nostro incontro. Nizzoli afferma la necessità del confronto tra i modelli nel senso di inserire la psicoterapia in un progetto di cura per il quale si organizza una struttura complessa di assistenza, per il raggiungimento di obiettivi determinati. Senza un progetto organizzativo realistico ogni cura rischia di essere parziale e non supportata.
Rispetto ad un determinato progetto di cura un approccio psicoterapico potrebbe rivelarsi più o meno adatto. Dunque Nizzoli ci ricorda che nelle patologie complesse ed interdisciplinari, il terapeuta non deve essere solo e capace di muoversi all’interno di una prospettiva complessiva e per mezzo del modello più addatto ad esse. Migone entra nello specifico dei DA e ne focalizza un aspetto centrale :la difficoltà di “selfregulation” del paziente. Ci ricorda che : l’idea di fondo, che risale alle originarie concettualizzazioni della psicodinamica e che oggi peraltro è condivisa da molte scuole psicoterapeutiche, è che il difetto di regolazione non risiede solo in un aspetto del comportamento che si è relativamente autonomizzato (per cui avrebbe senso “colpirlo” o sceglierlo come “bersaglio” dell’intervento), ma nell’intera persona. Suggerisce così per migliorare la qualità del terapeuta e la sua efficacia un training non solo sui fattori terapeutici “specifici” (es. le tecniche CBT) ma anche sui fattori “aspecifici” (o comuni) e fare in modo che i terapeuti siano supervisionati da colleghi appartenenti a diversi indirizzi.
Obiettivi. le nostre presentazioni hanno il compito di ribadire il ruolo centrale della psicoterapia per la cura dei DA, ma anche la necessità di superare quel confronto di efficacia tra i diversi modelli teorici, le cui evidenze sono ormai acquisiti. Sembrerebbe invece più fruttuoso tentare di sviluppare al meglio le qualità soggettive del terapeuta ovvero pensare a percorsi formativi specifici per il trattamento dei DA, che possano arricchire la formazione di base ed integrare con la giusta sintonia nuove conoscenze.
Aspetti metodologici. Un progetto formativo specifico per i DA può essere intrapreso a partire da alcuni aspetti clinici caratteristici. Nei diversi DA si evidenzia una alterazione più o meno marcata della regolazione emotiva, della funzione metacognitiva, della capacità relazionale e dei processi di elaborazione simbolica, oltre alla presenza di specifici pattern di attaccamento (2, 3,4). Non si deve dimenticare l’acquisizione delle nuove tematiche dello sviluppo (infant research)che riconoscono un particolare valore sia teorico sia clinico (5). Questi aspetti fondamentali della dinamica psicopatologica dei DA devono diventare temi di approfondimento teorico e clinico e patrimonio di conoscenze in adeguata sintonia con i diversi modelli formativi di base secondo studiate strategie didattiche. A fronte di una formazione personale, sia essa psicodinamica, cognitiva o interpersonale, nelle loro diverse forme, la preparazione a trattare con sistematicità i DA in psicoterapia dovrebbe prevedere prima di tutto un’accurata conoscenza della storia di queste patologie e dei vari modelli di cura che si sono succeduti nel tempo.
Un approfondimento necessario è rappresentato dallo studio della teoria dell’attaccamento e di come questa sia entrata a far parte di diverse teorie sia psicodinamiche sia cognitive (2). Lo stesso discorso vale per la funzione metacognitiva ed i così detti sistemi motivazionali (2,3). Si deve poi includere lo studio delle funzioni di simbolizzazione della mente ed in particolare la ricerca sui così detti codici multipli (6).
Un altro tema importante riguarda i processi di scissione relativi al trauma (7). Infine un particolare risalto devono avere le ricerche compiute dai gruppi della Infant Research che riguardano oltre ai processi di sintonizzazione affettiva e di regolazione delle emozioni, importanti indicazioni sulla condotta psicoterapeutica (5).
Osservazioni personali. Approfondire queste tematiche non rappresenta un ostacolo rispetto alle diverse formazioni dello psicoterapeuta, sia esso di provenienza psicodinamica, cognitiva o interpersonale, perché sono state già acquisite, anche se in modo diverso dalle varie teorie psicoterapiche. In gran parte sono frutto di lunghe sperimentazioni empiriche, spesso con il supporto delle neuroscienze. Purtroppo molti terapeuti applicano queste conoscenze su un piano personale e raramente si è pensato a dei percorsi formativi specifici. Solo alcune scuole di psicoterapia nel nostro paese applicano modelli formativi orientati in tal senso. Nella maggior parte dei casi si mantiene il riferimento alle teorie originarie, spesso superate dal confronto con nuove patologie come nel caso dei DA.
Interpretazioni personali. Non si deve temere di perdere la propria identità teorica che per uno psicoterapeuta ha richiesto un lungo tempo per essere acquisita e consolidata nella pratica clinica.
Chiunque pratichi la psicoterapia può rendersi conto che di fronte a molte patologie attuali, e tra queste i DA in particolare, molti aspetti teorici della propria formazione manifestano limiti evidenti. Alcuni teorici si sono ostinati attraverso complesse acrobazie concettuali a ribadire il valore e l’attualità di certe teorie in ossequio alla propria formazione o nella difficoltà di accettare il nuovo. Posso invece affermare che acquisire queste nuove conoscenze non solo rivitalizza ciò che mantiene il suo autentico valore nel tempo, ma soprattutto aiuta a sviluppare quelle qualità personali, che per mantenersi tali hanno necessità di un continuo nutrimento.
Conclusioni sintetiche. Se per molto tempo è stato utile il confronto sull’efficacia delle diverse psicoterapie, le conoscenze attuali ci suggeriscono l’utilità di pensare ad una loro integrazione. Sono ormai diversi gli aspetti che l’esperienza clinica ci permette di condividere da conoscenze diverse. Questa integrazione di conoscenze non devono stravolgere la formazione di base di un terapeuta ma arricchire la sua sensibilità e amplificare le sue doti personali. Nell’ambito di patologie complesse come i DA, sarebbe dunque proponibile un percorso formativo specifico per i terapeuti, volto non solo alle conoscenze di base ma soprattutto alla comprensione di assunti teorici diversi, che possano fornire nuovi orizzonti interpretativi. In tal senso qualità del terapeuta che potrebbe non trovare adeguato sviluppo nel proprio modello di riferimento, potrebbero così emergere, migliorando la relazione di cura.
Risultati di ricerche bibliografiche.
1. Shedler J (2010) “L’efficacia della terapia psicodinamica” Psicototerapia e Scienze Umane, XLIV n°1.
2. Fonagy P, Target M (2001) “Attaccamento e funzione riflessiva” Cortina, Milano
3. Lichtenberg JD (1995) “Psicoanalisi e sistemi motivazionali” Cortina, Milano
4. Sroufe LA (1985) “Lo sviluppo delle emozioni” Cortina, Milano.
5. Stern DN (1985) “Il mondo interpersonale del bambino” Bollati Boringhieri, Torino
6. Bucci W. Symptoms and symbol. A multiple code theory of somatization. Psychoanalytic Inquiry 17, 151-172, 1997
7. Bromberg PM “Clinica del trauma e della dissociazione” Cortina Ed, Milano 2007
Formazione e Psicoterapie : I modelli clinici e le qualità del terapeuta influenzano l’efficacia della terapia? E’ ipotizzabile un percorso formativo specifico per la psicoterapia dei DA ?
Psichiatra - Psicologo analista didatta e docente del Centro Italiano di psicologia Analitica (CIPA) Istituto di Roma – Segretario scientifico SIS-DCA
Caputo G
Introduzione. Le conoscenze attuali sembrano indicare che l’elemento determinante per l’efficacia di una psicoterapia non è ascrivibile al modello teorico seguito, ma alla qualità della relazione ovvero alla personalità del terapeuta e al particolare “incontro” con il paziente (1). Dunque ciò che svolge un ruolo centrale è rappresentato dalla soggettività dei partecipanti all’esperienza. E’ possibile che un modello teorico riesca ad esprimere meglio di un altro specifiche qualità di un certo terapeuta. I grandi maestri, i fondatori di nuovi approcci teorici e di scuole che hanno mantenuto valore nel tempo, hanno sviluppato cambiamenti a partire dalle proprie esigenze rispetto a modelli che sentivano limitanti. Gli esempi in tal senso sono noti e molteplici. Se riconosciamo il valore di questi dati, è doveroso chiederci come la formazione di uno psicoterapeuta ne debba tener conto. Sappiamo che nei DA la relazione terapeutica propone particolari difficoltà e ci domandiamo dunque se si possa pensare ad una specifica formazione per la psicoterapia alla luce delle nostre affermazioni.
Struttura. Con un breve intervento introduttivo si propone il superamento del confronto di efficacia dei diversi modelli di psicoterapia a favore di studiare una loro integrazione, che non va intesa come la necessaria acquisizione da parte di ogni terapeuta della conoscenza teorica e clinica dei diversi approcci. Non è oggi accettabile nel confronto con patologie complesse come i DCA immaginare che i singoli modelli teorici possano rispondere pienamente a tutte le esigenze cliniche e alle diverse soggettività dei pazienti. Allargare le conoscenze teoriche significa aplificare le capacità del terapeuta, la sua cultura, la sua sensibilità. In tal senso è corretto pensare ad una ulteriore fase formativa specifica. Gli interventi di Cerro, Cotugno e Migliorini sono infatti volti a mostrare come approcci diversi possano presentare diverse qualità di relazione rispetto a diversi modelli. Cerro enfatizza la qualità dell’ascolto, della regolazione emotiva interattiva e delle tematica controtrasferali rispetto al paziente anoressico. Questo intervento si propone, attraverso una disamina dei modelli principali di psicoterapia esistenti, di individuare alcuni fattori trasversali a diversi modelli, che potrebbero aiutare il terapeuta a sintonizzarsi con quegli stati affettivi intensi che risultano spesso inesprimibili nel paziente con DA. Cotugno illustra gli obiettivi che guidano la relazione terapeutica rispetto al modello cognitivo-evoluzionista. L’attenzione alla relazione terapeutica, agli aspetti interpersonali e al ruolo delle funzioni metacognitive, costituisce la cifra distintiva di tale approccio, che consente di integrare la focalizzazione sulle distorsioni cognitive con una specifica attenzione al ruolo di mantenimento patologico delle dinamiche interpersonali ( “cicli cognitivo-interpersonali”). Migliorini ribadisce quanto sia indispensabile possedere un modello formativo di riferimento, a patto che questo (il modello al quale si riferisce è il cognitivo-costruttivista) mantenga quella flessibilità che consenta al terapeuta di “essere” nella relazione. Infatti è la relazione interpersonale il nucleo fondamentale dell’attività professionale stessa e dunque la formazione del terapeuta dovrà proporsi di promuovere competenze che vadano dal “sapere” al “saper fare” e in parte anche dal “sapere” al “saper essere”. Gli interventi di Nizzoli e magone hanno un contenuto diverso e il loro obiettivo è quello di rappresentano una cornice necessaria al nostro incontro. Nizzoli afferma la necessità del confronto tra i modelli nel senso di inserire la psicoterapia in un progetto di cura per il quale si organizza una struttura complessa di assistenza, per il raggiungimento di obiettivi determinati. Senza un progetto organizzativo realistico ogni cura rischia di essere parziale e non supportata.
Rispetto ad un determinato progetto di cura un approccio psicoterapico potrebbe rivelarsi più o meno adatto. Dunque Nizzoli ci ricorda che nelle patologie complesse ed interdisciplinari, il terapeuta non deve essere solo e capace di muoversi all’interno di una prospettiva complessiva e per mezzo del modello più addatto ad esse. Migone entra nello specifico dei DA e ne focalizza un aspetto centrale :la difficoltà di “selfregulation” del paziente. Ci ricorda che : l’idea di fondo, che risale alle originarie concettualizzazioni della psicodinamica e che oggi peraltro è condivisa da molte scuole psicoterapeutiche, è che il difetto di regolazione non risiede solo in un aspetto del comportamento che si è relativamente autonomizzato (per cui avrebbe senso “colpirlo” o sceglierlo come “bersaglio” dell’intervento), ma nell’intera persona. Suggerisce così per migliorare la qualità del terapeuta e la sua efficacia un training non solo sui fattori terapeutici “specifici” (es. le tecniche CBT) ma anche sui fattori “aspecifici” (o comuni) e fare in modo che i terapeuti siano supervisionati da colleghi appartenenti a diversi indirizzi.
Obiettivi. le nostre presentazioni hanno il compito di ribadire il ruolo centrale della psicoterapia per la cura dei DA, ma anche la necessità di superare quel confronto di efficacia tra i diversi modelli teorici, le cui evidenze sono ormai acquisiti. Sembrerebbe invece più fruttuoso tentare di sviluppare al meglio le qualità soggettive del terapeuta ovvero pensare a percorsi formativi specifici per il trattamento dei DA, che possano arricchire la formazione di base ed integrare con la giusta sintonia nuove conoscenze.
Aspetti metodologici. Un progetto formativo specifico per i DA può essere intrapreso a partire da alcuni aspetti clinici caratteristici. Nei diversi DA si evidenzia una alterazione più o meno marcata della regolazione emotiva, della funzione metacognitiva, della capacità relazionale e dei processi di elaborazione simbolica, oltre alla presenza di specifici pattern di attaccamento (2, 3,4). Non si deve dimenticare l’acquisizione delle nuove tematiche dello sviluppo (infant research)che riconoscono un particolare valore sia teorico sia clinico (5). Questi aspetti fondamentali della dinamica psicopatologica dei DA devono diventare temi di approfondimento teorico e clinico e patrimonio di conoscenze in adeguata sintonia con i diversi modelli formativi di base secondo studiate strategie didattiche. A fronte di una formazione personale, sia essa psicodinamica, cognitiva o interpersonale, nelle loro diverse forme, la preparazione a trattare con sistematicità i DA in psicoterapia dovrebbe prevedere prima di tutto un’accurata conoscenza della storia di queste patologie e dei vari modelli di cura che si sono succeduti nel tempo.
Un approfondimento necessario è rappresentato dallo studio della teoria dell’attaccamento e di come questa sia entrata a far parte di diverse teorie sia psicodinamiche sia cognitive (2). Lo stesso discorso vale per la funzione metacognitiva ed i così detti sistemi motivazionali (2,3). Si deve poi includere lo studio delle funzioni di simbolizzazione della mente ed in particolare la ricerca sui così detti codici multipli (6).
Un altro tema importante riguarda i processi di scissione relativi al trauma (7). Infine un particolare risalto devono avere le ricerche compiute dai gruppi della Infant Research che riguardano oltre ai processi di sintonizzazione affettiva e di regolazione delle emozioni, importanti indicazioni sulla condotta psicoterapeutica (5).
Osservazioni personali. Approfondire queste tematiche non rappresenta un ostacolo rispetto alle diverse formazioni dello psicoterapeuta, sia esso di provenienza psicodinamica, cognitiva o interpersonale, perché sono state già acquisite, anche se in modo diverso dalle varie teorie psicoterapiche. In gran parte sono frutto di lunghe sperimentazioni empiriche, spesso con il supporto delle neuroscienze. Purtroppo molti terapeuti applicano queste conoscenze su un piano personale e raramente si è pensato a dei percorsi formativi specifici. Solo alcune scuole di psicoterapia nel nostro paese applicano modelli formativi orientati in tal senso. Nella maggior parte dei casi si mantiene il riferimento alle teorie originarie, spesso superate dal confronto con nuove patologie come nel caso dei DA.
Interpretazioni personali. Non si deve temere di perdere la propria identità teorica che per uno psicoterapeuta ha richiesto un lungo tempo per essere acquisita e consolidata nella pratica clinica.
Chiunque pratichi la psicoterapia può rendersi conto che di fronte a molte patologie attuali, e tra queste i DA in particolare, molti aspetti teorici della propria formazione manifestano limiti evidenti. Alcuni teorici si sono ostinati attraverso complesse acrobazie concettuali a ribadire il valore e l’attualità di certe teorie in ossequio alla propria formazione o nella difficoltà di accettare il nuovo. Posso invece affermare che acquisire queste nuove conoscenze non solo rivitalizza ciò che mantiene il suo autentico valore nel tempo, ma soprattutto aiuta a sviluppare quelle qualità personali, che per mantenersi tali hanno necessità di un continuo nutrimento.
Conclusioni sintetiche. Se per molto tempo è stato utile il confronto sull’efficacia delle diverse psicoterapie, le conoscenze attuali ci suggeriscono l’utilità di pensare ad una loro integrazione. Sono ormai diversi gli aspetti che l’esperienza clinica ci permette di condividere da conoscenze diverse. Questa integrazione di conoscenze non devono stravolgere la formazione di base di un terapeuta ma arricchire la sua sensibilità e amplificare le sue doti personali. Nell’ambito di patologie complesse come i DA, sarebbe dunque proponibile un percorso formativo specifico per i terapeuti, volto non solo alle conoscenze di base ma soprattutto alla comprensione di assunti teorici diversi, che possano fornire nuovi orizzonti interpretativi. In tal senso qualità del terapeuta che potrebbe non trovare adeguato sviluppo nel proprio modello di riferimento, potrebbero così emergere, migliorando la relazione di cura.
Risultati di ricerche bibliografiche.
1. Shedler J (2010) “L’efficacia della terapia psicodinamica” Psicototerapia e Scienze Umane, XLIV n°1.
2. Fonagy P, Target M (2001) “Attaccamento e funzione riflessiva” Cortina, Milano
3. Lichtenberg JD (1995) “Psicoanalisi e sistemi motivazionali” Cortina, Milano
4. Sroufe LA (1985) “Lo sviluppo delle emozioni” Cortina, Milano.
5. Stern DN (1985) “Il mondo interpersonale del bambino” Bollati Boringhieri, Torino
6. Bucci W. Symptoms and symbol. A multiple code theory of somatization. Psychoanalytic Inquiry 17, 151-172, 1997
7. Bromberg PM “Clinica del trauma e della dissociazione” Cortina Ed, Milano 2007