ML8
Lo Psicologo Cognitivista. Da dove comincia e fin dove arriva la Psicologia Cognitiva
Scuola di specializzazione in Terapia Cognitiva “Studi Cognitivi” (dir. Sandra Sassaroli), Foro Buonaparte 57, Milano
Ruggiero GM
Conoscenze della letteratura. La terapia cognitivo-comportamentale assume che i pensieri consapevoli delle persone influenzino la sofferenza emotiva e il disadattamento (1,2,3). L’esempio più classico è il caso dell’ansia: Beck ipotizza che la sofferenza emotiva ansiosa dipenda da pensieri che sopravvalutano i segnali di pericolo e sottovalutano della propria capacità di fronteggiare il pericolo. La terapia cognitivo-comportamentale è stata la terapia che più di ogni altra è stata sottoposta a studi che ne hanno empiricamente e rigorosamente confermato l’efficacia su diverse forme di sofferenza mentale, compresi i disturbi alimentari (4).
Gli obiettivi della terapia cognitivo-comportamentale nel trattamento dei disturbi alimentari sono: aiutare le pazienti a sviluppare e mantenere la motivazione; ridurre l’eccessiva importanza attribuita al peso, alle forme corporee e al controllo dell’alimentazione, eliminando i fattori di mantenimento; individuare e modificare gli schemi di cognitivi disfunzionali dell’autostima, del perfezionismo e di controllo.
Mentre l’efficacia della terapia per la bulimia è sufficientemente significativa, per l’anoressia i dati sono più controversi. Per tentare di migliorare l’efficacia si stanno introducendo nuovi modelli terapeutici, come il trattamento transdiagnostico di Fairburn (5) o la terapia incentrata sul rimuginio e il controllo di Sassaroli e Ruggiero (6).
Osservazioni personali. Naturalmente la terapia cognitiva presenta anche limiti e difficoltà. Sebbene mediante l’analisi cognitiva ogni affetto sia traducibile in pensiero consapevole ed esplicito, con il tempo è diventato chiaro che -almeno in alcuni pazienti- non tutto è immediatamente chiaro alla mente. Molti pensieri e azioni sono, secondo le parole dello stesso Beck, “automatici”. Il che vuol dire che essi sono elaborati senza sforzo attenzionale, senza ponderazione e senza riflessione. Insomma, si può pensare in maniera sentimentale, “sentendo” in maniera immediata e irriflessa il prodotto finale delle nostre elaborazione senza che siano chiari gli scopi e le convinzioni sottostanti. In termini di teoria psicopatologica della terapia cognitiva, questo vuol dire rinunciare al primato della cognizione sull’emozione.
Discussione. È dunque possibile le emozioni precedano la cognizione, e si può arrivare ad asserire che il primato dell’affettività sulla cognizione e rimanere cognitivisti (7). Lo stesso Beck (3) se ne rese conto qualche anno dopo, e cercò di rimediare sostituendo il modello lineare cognizione – emozione e cognizione - comportamento con un modello architettonico pluridimensionale che prevedeva accanto agli schemi cognitivi anche schemi emotivi, motivazionali e comportamentali tutti di pari dignità.
Lo sviluppo di un paradigma neoromantico. Conseguentemente, negli anni ’80 inizia a svilupparsi il nuovo paradigma cognitivo. Si tratta di una svolta che qualcuno ha definito neo-romatica, ed è stata ora osteggiata ora accolta, sia pure con la riserva che, in realtà, essa era già implicita nel paradigma primario. In breve, si tratta di un modello non più puramente computazionale, ma modulare. Caratteristici della svolta neoromantica sono gli studi fenomenologici e non più solo cognitivi sulle emozioni, l’introduzione in terapia di tecniche di validazione emotiva accanto alla ristrutturazione cognitiva, l’attenzione ai processi di pensiero accanto ai contenuti, la ricerca sulle fondamenta attaccamentiste delle cognizioni, di tecniche che modificano non più solo i contenuti ma anche le attitudini mentali, come la mindfullness (8,9).
Lo stesso recupero delle tecniche comportamentiste assume una coloritura neoromantica. Un altro fattore della svolta neoromantica è la consapevolezza della minore efficacia della terapia cognitiva sul cosiddetto paziente grave. Ci si rende conto che certi pazienti non sono in grado di compiere l’operazione di ristrutturazione cognitiva, ma necessitano di un lungo processo di riformazione della personalità, che spesso costringe ad accettare miglioramenti solo parziali.
Bibliografia.
1. Ellis A (1962) “Ragione ed emozione in psicoterapia” Tr. it. Astrolabio, Roma 1989.
2. Beck AT (1976) “Cognitive Therapy and the Emotional Disorders” New York, International Universities Press.
3. Beck AT (1997) “Beyond belief: a theory of modes, personality, and psychopathology” In: Salkovskis PM (Ed) “Frontiers of Cognitive Therapy (1-25), New York: The Guilford Press.
4. Fairburn CG, Shafran R, Cooper Z (1999) “A Cognitive Behavioural Theory Of Eating Disorders” In: Behaviour Research And Therapy 37, 1-13.
5. Fairburn CG, Cooper Z, Shafran R (2003) “Cognitive behaviour therapy for eating disorders: a "transdiagnostic" theory and treatment” Behaviour Research and Therapy 41, 509-528.
6. Sassaroli S, Ruggiero GM (2008) “The control and worry-centered treatment of eating disorders (CWT-ED)” Int J Child Adolesc Health 2, 229-242.
7. Rachman S (1981) “A reassessment of the “primacy of affect” Cognitive Therapy and Research 8, 579-584.
8. Kabat-Zinn J (1991) “Vivere momento per momento” Tr. it. Corbaccio, Milano 2005.
9. Hayes SC (2004) “Acceptance and Commitment Therapy, Relational Frame Theory, and the third wave of behavior therapy” In: Behavior Therapy 35, 639-665.
Lo Psicologo Cognitivista. Da dove comincia e fin dove arriva la Psicologia Cognitiva
Scuola di specializzazione in Terapia Cognitiva “Studi Cognitivi” (dir. Sandra Sassaroli), Foro Buonaparte 57, Milano
Ruggiero GM
Conoscenze della letteratura. La terapia cognitivo-comportamentale assume che i pensieri consapevoli delle persone influenzino la sofferenza emotiva e il disadattamento (1,2,3). L’esempio più classico è il caso dell’ansia: Beck ipotizza che la sofferenza emotiva ansiosa dipenda da pensieri che sopravvalutano i segnali di pericolo e sottovalutano della propria capacità di fronteggiare il pericolo. La terapia cognitivo-comportamentale è stata la terapia che più di ogni altra è stata sottoposta a studi che ne hanno empiricamente e rigorosamente confermato l’efficacia su diverse forme di sofferenza mentale, compresi i disturbi alimentari (4).
Gli obiettivi della terapia cognitivo-comportamentale nel trattamento dei disturbi alimentari sono: aiutare le pazienti a sviluppare e mantenere la motivazione; ridurre l’eccessiva importanza attribuita al peso, alle forme corporee e al controllo dell’alimentazione, eliminando i fattori di mantenimento; individuare e modificare gli schemi di cognitivi disfunzionali dell’autostima, del perfezionismo e di controllo.
Mentre l’efficacia della terapia per la bulimia è sufficientemente significativa, per l’anoressia i dati sono più controversi. Per tentare di migliorare l’efficacia si stanno introducendo nuovi modelli terapeutici, come il trattamento transdiagnostico di Fairburn (5) o la terapia incentrata sul rimuginio e il controllo di Sassaroli e Ruggiero (6).
Osservazioni personali. Naturalmente la terapia cognitiva presenta anche limiti e difficoltà. Sebbene mediante l’analisi cognitiva ogni affetto sia traducibile in pensiero consapevole ed esplicito, con il tempo è diventato chiaro che -almeno in alcuni pazienti- non tutto è immediatamente chiaro alla mente. Molti pensieri e azioni sono, secondo le parole dello stesso Beck, “automatici”. Il che vuol dire che essi sono elaborati senza sforzo attenzionale, senza ponderazione e senza riflessione. Insomma, si può pensare in maniera sentimentale, “sentendo” in maniera immediata e irriflessa il prodotto finale delle nostre elaborazione senza che siano chiari gli scopi e le convinzioni sottostanti. In termini di teoria psicopatologica della terapia cognitiva, questo vuol dire rinunciare al primato della cognizione sull’emozione.
Discussione. È dunque possibile le emozioni precedano la cognizione, e si può arrivare ad asserire che il primato dell’affettività sulla cognizione e rimanere cognitivisti (7). Lo stesso Beck (3) se ne rese conto qualche anno dopo, e cercò di rimediare sostituendo il modello lineare cognizione – emozione e cognizione - comportamento con un modello architettonico pluridimensionale che prevedeva accanto agli schemi cognitivi anche schemi emotivi, motivazionali e comportamentali tutti di pari dignità.
Lo sviluppo di un paradigma neoromantico. Conseguentemente, negli anni ’80 inizia a svilupparsi il nuovo paradigma cognitivo. Si tratta di una svolta che qualcuno ha definito neo-romatica, ed è stata ora osteggiata ora accolta, sia pure con la riserva che, in realtà, essa era già implicita nel paradigma primario. In breve, si tratta di un modello non più puramente computazionale, ma modulare. Caratteristici della svolta neoromantica sono gli studi fenomenologici e non più solo cognitivi sulle emozioni, l’introduzione in terapia di tecniche di validazione emotiva accanto alla ristrutturazione cognitiva, l’attenzione ai processi di pensiero accanto ai contenuti, la ricerca sulle fondamenta attaccamentiste delle cognizioni, di tecniche che modificano non più solo i contenuti ma anche le attitudini mentali, come la mindfullness (8,9).
Lo stesso recupero delle tecniche comportamentiste assume una coloritura neoromantica. Un altro fattore della svolta neoromantica è la consapevolezza della minore efficacia della terapia cognitiva sul cosiddetto paziente grave. Ci si rende conto che certi pazienti non sono in grado di compiere l’operazione di ristrutturazione cognitiva, ma necessitano di un lungo processo di riformazione della personalità, che spesso costringe ad accettare miglioramenti solo parziali.
Bibliografia.
1. Ellis A (1962) “Ragione ed emozione in psicoterapia” Tr. it. Astrolabio, Roma 1989.
2. Beck AT (1976) “Cognitive Therapy and the Emotional Disorders” New York, International Universities Press.
3. Beck AT (1997) “Beyond belief: a theory of modes, personality, and psychopathology” In: Salkovskis PM (Ed) “Frontiers of Cognitive Therapy (1-25), New York: The Guilford Press.
4. Fairburn CG, Shafran R, Cooper Z (1999) “A Cognitive Behavioural Theory Of Eating Disorders” In: Behaviour Research And Therapy 37, 1-13.
5. Fairburn CG, Cooper Z, Shafran R (2003) “Cognitive behaviour therapy for eating disorders: a "transdiagnostic" theory and treatment” Behaviour Research and Therapy 41, 509-528.
6. Sassaroli S, Ruggiero GM (2008) “The control and worry-centered treatment of eating disorders (CWT-ED)” Int J Child Adolesc Health 2, 229-242.
7. Rachman S (1981) “A reassessment of the “primacy of affect” Cognitive Therapy and Research 8, 579-584.
8. Kabat-Zinn J (1991) “Vivere momento per momento” Tr. it. Corbaccio, Milano 2005.
9. Hayes SC (2004) “Acceptance and Commitment Therapy, Relational Frame Theory, and the third wave of behavior therapy” In: Behavior Therapy 35, 639-665.