ML9.
Lo Psichiatra per doppia diagnosi. Quando è presente un Disturbo Borderline di Personalità e il DA è un problema secondario e quando è presente un Disturbo Borderline di Personalità ma il DA diventa un problema primario
John Dewey: il nome “ finge in modo ingannevole di essere una spiegazione di ciò che indica”. Se ciò è vero tanto più lo è per i “nomi “ del DSM-IV. Nonostante la distinzione su assi diversi, sia i disturbi del comportamento alimentare che i disturbi di personalità, risentono dello stesso vizio d’origine. Sono una descrizione, un contenitore, uno standard contrattuale tra studiosi, certo non una spiegazione.
Lo stesso titolo di questa comunicazione risente, necessariamente, di questo bias concettuale: il “problema“ non è mai primario o secondario, sono solo le cause di esso ad esserlo. Per non eludere la domanda essa potrebbe forse essere così riformulata: quali emergenze richiedono un approccio prioritario per le loro possibili conseguenze? Quali per la loro propedeuticità causale? Tuttavia anche questo approccio rischia di essere euristicamente povero. Le conseguenze più temibili, infatti, (la morte per suicidio - intenzionale o meno) del DBP non sono prevedibili, esattamente valutabili, sostanzialmente evitabili e quindi non sono “ponderabili“ operazionalmente.
Sulla propedeuticità causale il discorso potrebbe essere più articolato e così riformulato: esistono specifiche catteristiche di tratto che predispongono a specifici comportamenti che configurano quadri psichiatrici specifici? Ovvero, in altri termini: ”specifici caratteristiche, codificabili in asse II sono facilitanti e/o etiologicamente o patogeneticamente rilevanti per quadri psicopatologici definiti, seppur solo fenomenologicamente, in asse I ? Discuteremo questa possibilità ma è, a priori, evidente che solo i dati di comorbidità ci autorizzeranno a riconoscere tale relazione ma poco ci diranno sul nesso di causalità tra i due fenomeni. Potremmo adottare allora la seguente riformulazione operazionale: “di cosa dobbiamo occuparci prioritariamente allora? “Ciò è utile? Certamente si, ma la risposta non è, purtroppo, protocollare. Ci troviamo, il più delle volte, ad assumere la gestione di una situazione caotica: “nave senza nocchiero in gran tempesta, (PURGATORIO - Canto VI 78) in cui il perseguimento degli obbiettivi a lungo termine, (il porto = la vita normale) richiede un continuo compromesso con emergenze a breve–immediato - termine (le onde = ì gli eventi). Non è un caso che la cosiddetta “comorbidità” tra DCA e DBP sia l’associazione morbosa che vanta il maggior numero di drop–out, cronicità, vissuto professionale di frustrazione e fallimento nel terapeuta.
Forse solo il porsi fuori da questi schemi di relazione causale, comorbidità, classificazione nosografica, ed il recupero di diagnosi di predisposizione, apprendimento e processo possono permettere la costruzione di un progetto personale, irripetibile ma descrivibile di scelta delle priorità in emergenza ed a lungo termine che possano in modo scientifico, seppur non protocollare, costruire lo schema per affrontare tali situazioni.
Lo Psichiatra per doppia diagnosi. Quando è presente un Disturbo Borderline di Personalità e il DA è un problema secondario e quando è presente un Disturbo Borderline di Personalità ma il DA diventa un problema primario
John Dewey: il nome “ finge in modo ingannevole di essere una spiegazione di ciò che indica”. Se ciò è vero tanto più lo è per i “nomi “ del DSM-IV. Nonostante la distinzione su assi diversi, sia i disturbi del comportamento alimentare che i disturbi di personalità, risentono dello stesso vizio d’origine. Sono una descrizione, un contenitore, uno standard contrattuale tra studiosi, certo non una spiegazione.
Lo stesso titolo di questa comunicazione risente, necessariamente, di questo bias concettuale: il “problema“ non è mai primario o secondario, sono solo le cause di esso ad esserlo. Per non eludere la domanda essa potrebbe forse essere così riformulata: quali emergenze richiedono un approccio prioritario per le loro possibili conseguenze? Quali per la loro propedeuticità causale? Tuttavia anche questo approccio rischia di essere euristicamente povero. Le conseguenze più temibili, infatti, (la morte per suicidio - intenzionale o meno) del DBP non sono prevedibili, esattamente valutabili, sostanzialmente evitabili e quindi non sono “ponderabili“ operazionalmente.
Sulla propedeuticità causale il discorso potrebbe essere più articolato e così riformulato: esistono specifiche catteristiche di tratto che predispongono a specifici comportamenti che configurano quadri psichiatrici specifici? Ovvero, in altri termini: ”specifici caratteristiche, codificabili in asse II sono facilitanti e/o etiologicamente o patogeneticamente rilevanti per quadri psicopatologici definiti, seppur solo fenomenologicamente, in asse I ? Discuteremo questa possibilità ma è, a priori, evidente che solo i dati di comorbidità ci autorizzeranno a riconoscere tale relazione ma poco ci diranno sul nesso di causalità tra i due fenomeni. Potremmo adottare allora la seguente riformulazione operazionale: “di cosa dobbiamo occuparci prioritariamente allora? “Ciò è utile? Certamente si, ma la risposta non è, purtroppo, protocollare. Ci troviamo, il più delle volte, ad assumere la gestione di una situazione caotica: “nave senza nocchiero in gran tempesta, (PURGATORIO - Canto VI 78) in cui il perseguimento degli obbiettivi a lungo termine, (il porto = la vita normale) richiede un continuo compromesso con emergenze a breve–immediato - termine (le onde = ì gli eventi). Non è un caso che la cosiddetta “comorbidità” tra DCA e DBP sia l’associazione morbosa che vanta il maggior numero di drop–out, cronicità, vissuto professionale di frustrazione e fallimento nel terapeuta.
Forse solo il porsi fuori da questi schemi di relazione causale, comorbidità, classificazione nosografica, ed il recupero di diagnosi di predisposizione, apprendimento e processo possono permettere la costruzione di un progetto personale, irripetibile ma descrivibile di scelta delle priorità in emergenza ed a lungo termine che possano in modo scientifico, seppur non protocollare, costruire lo schema per affrontare tali situazioni.