Trattamento Residenziale Riabilitativo intensivo nel setting psichiatrico.
Centro Regionale Disturbi Alimentazione e Adolescenza (CDAA ). Dipartimento di Salute Mentale ASL 2 Savonese
Ferro AM
Premesse. Un primo punto da affrontare riguarda l’identità e la struttura del disturbo alimentare, se vada considerato come un unico spettro, di cui i diversi quadri (AN, BN, BED con o senza Obesità) rappresentano diversi aspetti e sfaccettature, o se viceversa i diversi quadri rappresentino entità autonome e distinte tra loro (1). Questa non rappresenta solo una disquisizione accademica, perché da essa discendono varie implicazioni sul modello, il contesto e la tipologia delle cure più appropriate. Come verrà evidenziato, è in corso nella comunità scientifica un dibattito su questo tema e vi sono alcune ricerche in corso.
Chi. Come secondo aspetto viene trattato il problema di chi gestisce le cure. Il concetto del team multidisciplinare è ormai acquisito e ampiamente condiviso dalla comunità scientifica. E’ sicuramente importante che tutte le figure professionali siano chiaramente rappresentate. Esistono però a mio avviso due grossi problemi che propongo al dibattito; il primo è, data per scontata la multidisciplinarietà del team, qual è il milieu che lo unisce, cos’è che lo rende un gruppo di lavoro? Il secondo è da chi deve essere esercitata la leadership. A proposito del primo punto ritengo fondamentale che, oltre ad essere in possesso di un linguaggio teorico e clinico condiviso, pur nel rispetto dei ruoli e dei rispettvi percorsi formativi, i diversi specialisti lavorino concretamente insieme, condividano lo stesso luogo di lavoro, cosa ben diversa dal fatto che gli specialisti si parlino telefonicamente dopo che il pz. ha eseguito le varie visite; questo punto mi sembra molto importante, perché, soprattutto per la terapia residenziale, è fondamentale che esista un gruppo dei curanti, chiaramente identificabile, che entra in relazione con un gruppo di pazienti. Per quel che concerne il ruolo di leader, ritengo che debba essere attribuito in maniera piuttosto flessibile ma al contempo chiara, a una figura professionale o ad un’altra a seconda della fase del percorso di cura in cui ci si trova, e a seconda dello scenario principale in cui avviene la cura in quel momento; ad esempio all’inizio del percorso può una pz anoressica può accettare più facilmente le cure somatiche che non un approccio psi e di conseguenza può essere lo specialista internista o nutrizionista a coordinare il team in quella fase, ma al contempo se pensiamo ad una situazione di ricovero di una pz in cui il suo assenso è solo parziale o addirittura ad una cura senza il consenso, è chiaro che la figura dello psichiatra sarà centrale nel lavorare sulle relazioni e sull’alleanza terapeutica possibile, sostenendo l’equipe nel riconoscere ed accettare senza contro-agire, i pesanti vissuti emotivi che una tale situazione comporta.
Dove. Collegato a questo punto è il discorso del contesto in cui le cure vengono fornite. Viene affrontato il problema dei luoghi, delle modalità e dei tempi, dove, come e quando (1). Rispetto ai luoghi viene affrontato il problema dei luoghi dedicati e dei gruppi monosintomatici. E’ chiaro che essi presentano dei vantaggi nei termini di specificità delle cure proposte, ma non vanno dimenticati i rischi connessi, ad esempio il possibile rafforzamento dell’identità di anoressica, bulimica etc., ma anche il possibile maggior rischio di fenomeni di “burn out “ nel personale preposto a tali strutture; anche in questo caso sarebbero auspicabili maggiori studi in tal senso. Solo a mo’ di esempio ricordiamo che con un gruppo eterogeneo di pazienti gli operatori rischiano meno di incorrere in rigidità e noia e le pazienti hanno meno possibilità di rafforzare la loro identità di anoressiche, come paradossalmente può accadere in strutture troppo “specialistiche” (2). In relazione ai luoghi viene dato risalto all’importanza del radicamento delle cure sul territorio, questo sia per una serie di motivi facilmente immaginabili (accessibilità dell’utente ai servizi, continuità delle cure etc ), sia per almeno altre due questioni fondamentali:
- evitare il fenomeno del passaggio continuo da una struttura residenziale all’altra; a questo proposito bisogna ricordare che si cominciano a vedere le pazienti dei “grands tours”,ossia persone che migrano continuamente da un centro di cura all’altro senza mai entrare di fatto in un progetto di cura.
- evitare il ben noto circolo vizioso dell’offerta che moltiplica la domanda, contribuendo a”creare” una nuova generazione di pazienti che si auto selezionano in base alle caratteristiche delle strutture esistenti; inoltre è possibile ipotizzare il rischio che strutture monospecialistiche che rischiano di aver bisogno di queste pazienti per continuare ad esistere, creino un gioco delle parti che può divenire senza fine con la presenza di sorprendenti reciproche dipendenze.
La Rete. Risulta quindi essenziale che ogni luogo di cura possa dotarsi di una rete territoriale, che possa realizzare i diversi livelli di intervento.
E’ fondamentale mettere a punto un adeguato intervento ambulatoriale il più possibile vicino al luogo di appartenenza dell’utente, che contempli le diverse figure professionali, con le caratteristiche dell’intervento integrato e multidisciplinare. Ciò vale in generale, ma soprattutto per il trattamento della BN. Dai dati italiani emerge infatti un numero piuttosto alto di trattamenti residenziali per pz con diagnosi di bulimia, di fronte al fatto che la letteratura in materia sostiene che non c’è evidenza della superiorità del trattamento residenziale, che, in alcuni casi può addirittura risultare controproducente (3,4). Oltre alla rete territoriale, riteniamo importante che si costituisca un collegamento e un coordinamento continuo anche tra i principali centri dedicati ai DCA presenti sul territorio nazionale.
Tempi della cura. Viene affrontato sia l’aspetto della durata ottimale dei percorsi riabilitativi residenziali o semi-residenziali, sia la specificità dell’intervento terapeutico auspicabile rispetto alla fase del disturbo in cui il pz si trova.
E’ chiaro che entrambi questi aspetti non si possono dibattere in senso assoluto, ma andranno problematizzati rispetto ai costi e alle risorse disponibili.
Come. Rispetto ai percorsi e alle modalità di cure”, team approach”, multidisciplinarietà e multi professionalità sono ormai considerati quasi ovunque i principi a cui deve ispirarsi il trattamento ottimale. Il problema è però come collocare questi principi nella clinica e nella realtà sociale e istituzionale. E’ chiaro che questi principi non si possono tradurre in una moltiplicazione di tecniche e di tecnici, anche per i costi che questo comporterebbe, ma dovrebbero portare ad una continua raffinata ricerca del miglior equilibrio e sinergie di volta in volta possibile.
Infine verrà affrontata l’importanza dell’accuratezza del percorso diagnostico, in particolare di un adeguato percorso di diagnosi differenziale, non solo per indirizzare il più precocemente possibile il percorso terapeutico,ma anche per evitare di rispondere con un processo di “saturazione”, la diagnosi di DCA, ad un disagio psicologico, che spesso all’inizio è ancora inespresso e indifferenziato.
Il punto sull’obesità. Le caratteristiche di cronicità e i costi sociali, impongono anche per l’obesità, così come per i DA, di assumere una prospettiva a lungo termine e di prevedere percorsi articolati terapeutici e riabilitativi in setting multipli e flessibili.
Il National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) britannico ha appena pubblicato le linee guida d’intervento che confermano la necessità di un modello integrato di cura:
- I trattamenti di prima linea per gli adulti sovrappeso od obesi devono essere i cambiamenti dietetici e l’esercizio fisico, con modificazioni appropriate dello stile di vita e opportuni trattamenti farmacologici combinati con interventi cognitivo-comportamentali. (5)
Il modello di trattamento integrato è in grado di determinare una perdita di peso del 10%
La terapia BT funziona nell’80% dei pz, ma sul lungo termine a un anno c’è un recupero del peso del 40% e a 3-5 anni l’80% dei pz ritorna al peso iniziale
La terapia farmacologica è efficace se associata a un cambiamento dello stile di vita. Il tasso di sospensione è del 50%. Se il farmaco è sospeso il peso viene recuperato e solo il 50% porta a termine il trattamento.
- La chirurgia bariatrica si raccomanda come risorsa per un sottogruppo di pz con obesità severa (BMI 40-35), se i metodi meno invasivi hanno fallito (e/o riuscire a mantenere per almeno sei mesi) e vi è un elevato rischio di morbilità-mortalità
All’interno dell’Asl 2 Savonese si è ipotizzata la creazione di una rete interdipartimentale, in grado di realizzare un programma di terapia e riabilitazione per l’obesità e i disturbi correlati per interventi diagnostici, ambulatoriali e residenziali, coordinata da un’equipe multidisciplinare e trasversale all’interno dell’Asl in grado di “prendere in carico il paziente“, di sostenerlo e accompagnarlo lungo tutto il percorso di cura.
Le strutture coinvolte in questa rete dovrebbero essere in grado di effettuare un coordinamento continuo tra di loro. Lo scopo della rete è di far si che le realtà dedicate al disturbo dei comportamenti alimentari presenti nella Asl Savonese si conoscano vicendevolmente, possano sviluppare protocolli comuni, possano assicurare la disponibilità di tutti gli specialisti necessari alla valutazione per porre l’indicazione a trattamenti invasivi quali quelli chirurgici e quello endoscopico e abbiano canali preferenziali di collaborazione per offrire al cittadino un approccio multidisciplinare e il miglior trattamento possibile.
Il setting di cura per l’obesità. Personalmente ritengo che un’equipe ben formata possa affrontare in uno stesso setting di cura, pz affetti da anoressia, bulimia, BED e obesità, ovviamente con gli opportuni strumenti, percorsi diversificati e modulazioni dei programmi.
Nel nostro Centro (CDAA Pietra Ligure ASL 2 Savonese) abbiamo iniziato a ospitare, da pochi anni, pazienti con grave obesità, insieme agli altri DA (mai in numero superiore a 2 o 3 per volta). L’esperienza è ovviamente ancora molto limitata, tuttavia quello che abbiamo potuto osservare è che non si sono creati particolari problemi di gestione del gruppo, né messi in atto meccanismi di espulsione reciproca, legati a movimenti di invidia, fascinazione o repulsione rispetto alle forme corporee.
Penso che ciò dipenda molto dal fatto che lo stile del nostro centro è molto improntato al lavoro di gruppo e all’attenzione posta sulle relazioni tra pazienti, ma anche tra i diversi gruppi, quello dei curanti e quello dei curati e molta enfasi viene posta sul cercare di stimolare con molta cautela aperture ad una maggiore capacità di pensiero e di riflessività che in questi pazienti è assai deficitaria.
Bibliografia.
1. Milos G, Spindler A, Schnyder K, Fairburn CG (2005) “Instability of Eating Disorder diagnoses”: prospective study,British Journal of Psychiatry 187, 573-80
2. Ferro AM (2004) “Il Centro per i disturbi dell’adolescenza e dell’alimentazione di origine psicogena del DSM di Savona” pag 169-176 in “Psichiatria di Comunità “ vol. 3 n 3, Centro Scientifico Editore, Torino
3. Jeammet P (1992) “Therapie bifocale” In “Revue de l’adolescence” 2, 371-383
4. Fairburn CG, Harrison PJ (2003) “Eating Disorders” Lancet 361, 407-16.
5. National Institute for Health and Clinical Excellence (2006), NICE Clinical Guideline 43. Obesity
Centro Regionale Disturbi Alimentazione e Adolescenza (CDAA ). Dipartimento di Salute Mentale ASL 2 Savonese
Ferro AM
Premesse. Un primo punto da affrontare riguarda l’identità e la struttura del disturbo alimentare, se vada considerato come un unico spettro, di cui i diversi quadri (AN, BN, BED con o senza Obesità) rappresentano diversi aspetti e sfaccettature, o se viceversa i diversi quadri rappresentino entità autonome e distinte tra loro (1). Questa non rappresenta solo una disquisizione accademica, perché da essa discendono varie implicazioni sul modello, il contesto e la tipologia delle cure più appropriate. Come verrà evidenziato, è in corso nella comunità scientifica un dibattito su questo tema e vi sono alcune ricerche in corso.
Chi. Come secondo aspetto viene trattato il problema di chi gestisce le cure. Il concetto del team multidisciplinare è ormai acquisito e ampiamente condiviso dalla comunità scientifica. E’ sicuramente importante che tutte le figure professionali siano chiaramente rappresentate. Esistono però a mio avviso due grossi problemi che propongo al dibattito; il primo è, data per scontata la multidisciplinarietà del team, qual è il milieu che lo unisce, cos’è che lo rende un gruppo di lavoro? Il secondo è da chi deve essere esercitata la leadership. A proposito del primo punto ritengo fondamentale che, oltre ad essere in possesso di un linguaggio teorico e clinico condiviso, pur nel rispetto dei ruoli e dei rispettvi percorsi formativi, i diversi specialisti lavorino concretamente insieme, condividano lo stesso luogo di lavoro, cosa ben diversa dal fatto che gli specialisti si parlino telefonicamente dopo che il pz. ha eseguito le varie visite; questo punto mi sembra molto importante, perché, soprattutto per la terapia residenziale, è fondamentale che esista un gruppo dei curanti, chiaramente identificabile, che entra in relazione con un gruppo di pazienti. Per quel che concerne il ruolo di leader, ritengo che debba essere attribuito in maniera piuttosto flessibile ma al contempo chiara, a una figura professionale o ad un’altra a seconda della fase del percorso di cura in cui ci si trova, e a seconda dello scenario principale in cui avviene la cura in quel momento; ad esempio all’inizio del percorso può una pz anoressica può accettare più facilmente le cure somatiche che non un approccio psi e di conseguenza può essere lo specialista internista o nutrizionista a coordinare il team in quella fase, ma al contempo se pensiamo ad una situazione di ricovero di una pz in cui il suo assenso è solo parziale o addirittura ad una cura senza il consenso, è chiaro che la figura dello psichiatra sarà centrale nel lavorare sulle relazioni e sull’alleanza terapeutica possibile, sostenendo l’equipe nel riconoscere ed accettare senza contro-agire, i pesanti vissuti emotivi che una tale situazione comporta.
Dove. Collegato a questo punto è il discorso del contesto in cui le cure vengono fornite. Viene affrontato il problema dei luoghi, delle modalità e dei tempi, dove, come e quando (1). Rispetto ai luoghi viene affrontato il problema dei luoghi dedicati e dei gruppi monosintomatici. E’ chiaro che essi presentano dei vantaggi nei termini di specificità delle cure proposte, ma non vanno dimenticati i rischi connessi, ad esempio il possibile rafforzamento dell’identità di anoressica, bulimica etc., ma anche il possibile maggior rischio di fenomeni di “burn out “ nel personale preposto a tali strutture; anche in questo caso sarebbero auspicabili maggiori studi in tal senso. Solo a mo’ di esempio ricordiamo che con un gruppo eterogeneo di pazienti gli operatori rischiano meno di incorrere in rigidità e noia e le pazienti hanno meno possibilità di rafforzare la loro identità di anoressiche, come paradossalmente può accadere in strutture troppo “specialistiche” (2). In relazione ai luoghi viene dato risalto all’importanza del radicamento delle cure sul territorio, questo sia per una serie di motivi facilmente immaginabili (accessibilità dell’utente ai servizi, continuità delle cure etc ), sia per almeno altre due questioni fondamentali:
- evitare il fenomeno del passaggio continuo da una struttura residenziale all’altra; a questo proposito bisogna ricordare che si cominciano a vedere le pazienti dei “grands tours”,ossia persone che migrano continuamente da un centro di cura all’altro senza mai entrare di fatto in un progetto di cura.
- evitare il ben noto circolo vizioso dell’offerta che moltiplica la domanda, contribuendo a”creare” una nuova generazione di pazienti che si auto selezionano in base alle caratteristiche delle strutture esistenti; inoltre è possibile ipotizzare il rischio che strutture monospecialistiche che rischiano di aver bisogno di queste pazienti per continuare ad esistere, creino un gioco delle parti che può divenire senza fine con la presenza di sorprendenti reciproche dipendenze.
La Rete. Risulta quindi essenziale che ogni luogo di cura possa dotarsi di una rete territoriale, che possa realizzare i diversi livelli di intervento.
E’ fondamentale mettere a punto un adeguato intervento ambulatoriale il più possibile vicino al luogo di appartenenza dell’utente, che contempli le diverse figure professionali, con le caratteristiche dell’intervento integrato e multidisciplinare. Ciò vale in generale, ma soprattutto per il trattamento della BN. Dai dati italiani emerge infatti un numero piuttosto alto di trattamenti residenziali per pz con diagnosi di bulimia, di fronte al fatto che la letteratura in materia sostiene che non c’è evidenza della superiorità del trattamento residenziale, che, in alcuni casi può addirittura risultare controproducente (3,4). Oltre alla rete territoriale, riteniamo importante che si costituisca un collegamento e un coordinamento continuo anche tra i principali centri dedicati ai DCA presenti sul territorio nazionale.
Tempi della cura. Viene affrontato sia l’aspetto della durata ottimale dei percorsi riabilitativi residenziali o semi-residenziali, sia la specificità dell’intervento terapeutico auspicabile rispetto alla fase del disturbo in cui il pz si trova.
E’ chiaro che entrambi questi aspetti non si possono dibattere in senso assoluto, ma andranno problematizzati rispetto ai costi e alle risorse disponibili.
Come. Rispetto ai percorsi e alle modalità di cure”, team approach”, multidisciplinarietà e multi professionalità sono ormai considerati quasi ovunque i principi a cui deve ispirarsi il trattamento ottimale. Il problema è però come collocare questi principi nella clinica e nella realtà sociale e istituzionale. E’ chiaro che questi principi non si possono tradurre in una moltiplicazione di tecniche e di tecnici, anche per i costi che questo comporterebbe, ma dovrebbero portare ad una continua raffinata ricerca del miglior equilibrio e sinergie di volta in volta possibile.
Infine verrà affrontata l’importanza dell’accuratezza del percorso diagnostico, in particolare di un adeguato percorso di diagnosi differenziale, non solo per indirizzare il più precocemente possibile il percorso terapeutico,ma anche per evitare di rispondere con un processo di “saturazione”, la diagnosi di DCA, ad un disagio psicologico, che spesso all’inizio è ancora inespresso e indifferenziato.
Il punto sull’obesità. Le caratteristiche di cronicità e i costi sociali, impongono anche per l’obesità, così come per i DA, di assumere una prospettiva a lungo termine e di prevedere percorsi articolati terapeutici e riabilitativi in setting multipli e flessibili.
Il National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) britannico ha appena pubblicato le linee guida d’intervento che confermano la necessità di un modello integrato di cura:
- I trattamenti di prima linea per gli adulti sovrappeso od obesi devono essere i cambiamenti dietetici e l’esercizio fisico, con modificazioni appropriate dello stile di vita e opportuni trattamenti farmacologici combinati con interventi cognitivo-comportamentali. (5)
Il modello di trattamento integrato è in grado di determinare una perdita di peso del 10%
La terapia BT funziona nell’80% dei pz, ma sul lungo termine a un anno c’è un recupero del peso del 40% e a 3-5 anni l’80% dei pz ritorna al peso iniziale
La terapia farmacologica è efficace se associata a un cambiamento dello stile di vita. Il tasso di sospensione è del 50%. Se il farmaco è sospeso il peso viene recuperato e solo il 50% porta a termine il trattamento.
- La chirurgia bariatrica si raccomanda come risorsa per un sottogruppo di pz con obesità severa (BMI 40-35), se i metodi meno invasivi hanno fallito (e/o riuscire a mantenere per almeno sei mesi) e vi è un elevato rischio di morbilità-mortalità
All’interno dell’Asl 2 Savonese si è ipotizzata la creazione di una rete interdipartimentale, in grado di realizzare un programma di terapia e riabilitazione per l’obesità e i disturbi correlati per interventi diagnostici, ambulatoriali e residenziali, coordinata da un’equipe multidisciplinare e trasversale all’interno dell’Asl in grado di “prendere in carico il paziente“, di sostenerlo e accompagnarlo lungo tutto il percorso di cura.
Le strutture coinvolte in questa rete dovrebbero essere in grado di effettuare un coordinamento continuo tra di loro. Lo scopo della rete è di far si che le realtà dedicate al disturbo dei comportamenti alimentari presenti nella Asl Savonese si conoscano vicendevolmente, possano sviluppare protocolli comuni, possano assicurare la disponibilità di tutti gli specialisti necessari alla valutazione per porre l’indicazione a trattamenti invasivi quali quelli chirurgici e quello endoscopico e abbiano canali preferenziali di collaborazione per offrire al cittadino un approccio multidisciplinare e il miglior trattamento possibile.
Il setting di cura per l’obesità. Personalmente ritengo che un’equipe ben formata possa affrontare in uno stesso setting di cura, pz affetti da anoressia, bulimia, BED e obesità, ovviamente con gli opportuni strumenti, percorsi diversificati e modulazioni dei programmi.
Nel nostro Centro (CDAA Pietra Ligure ASL 2 Savonese) abbiamo iniziato a ospitare, da pochi anni, pazienti con grave obesità, insieme agli altri DA (mai in numero superiore a 2 o 3 per volta). L’esperienza è ovviamente ancora molto limitata, tuttavia quello che abbiamo potuto osservare è che non si sono creati particolari problemi di gestione del gruppo, né messi in atto meccanismi di espulsione reciproca, legati a movimenti di invidia, fascinazione o repulsione rispetto alle forme corporee.
Penso che ciò dipenda molto dal fatto che lo stile del nostro centro è molto improntato al lavoro di gruppo e all’attenzione posta sulle relazioni tra pazienti, ma anche tra i diversi gruppi, quello dei curanti e quello dei curati e molta enfasi viene posta sul cercare di stimolare con molta cautela aperture ad una maggiore capacità di pensiero e di riflessività che in questi pazienti è assai deficitaria.
Bibliografia.
1. Milos G, Spindler A, Schnyder K, Fairburn CG (2005) “Instability of Eating Disorder diagnoses”: prospective study,British Journal of Psychiatry 187, 573-80
2. Ferro AM (2004) “Il Centro per i disturbi dell’adolescenza e dell’alimentazione di origine psicogena del DSM di Savona” pag 169-176 in “Psichiatria di Comunità “ vol. 3 n 3, Centro Scientifico Editore, Torino
3. Jeammet P (1992) “Therapie bifocale” In “Revue de l’adolescence” 2, 371-383
4. Fairburn CG, Harrison PJ (2003) “Eating Disorders” Lancet 361, 407-16.
5. National Institute for Health and Clinical Excellence (2006), NICE Clinical Guideline 43. Obesity