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Obesità: una bomba a orologeria, che deve essere disinnescata, prima che travolga l’intera umanità: La cura o la prevenzione?
Bosello O: Coordinamento e interattività
Spera G: Moderatore
Premesse. Le rilevazioni demografiche degli ultimi decenni, nei paesi del mondo occidentale e anche in quelli in via di sviluppo, hanno continuato a segnalare un aumento a ritmi inaspettati dell’aspettativa di vita, con proiezioni tali da configurare un futuro di ultracentenari. Da qualche anno, però, si è registrata una tendenza all’appiattimento della curva di sopravvivenza e, tra il 2007 e 2008, una pur lieve flessione negli USA. Negli stessi anni, è sotto gli occhi di tutti un aumento drammatico dell’obesità.
Che cosa sta succedendo? I due fenomeni, aumento della longevità e aumento del peso medio della popolazione, sono andati per anni di pari passo perchè ambedue sono conseguenza del progresso scientifico e socioeconomico: minori rischi ambientali di mortalità e più ampie disponibilità alimentari. Attualmente, però, il “peso” morboso dell’obesità ha preso il sopravvento ed ha infranto l’illusione dei cent’anni per tutti. Sconcerta e preoccupa, in particolare, la progressiva incidenza e le relative ipotesi prospettiche di obesità. Nell’Australia Occidentale l’obesità ha superato il fumo come primo fattore di rischio per la salute. Entro due decenni tutti gli Americani adulti saranno in eccesso di peso; quasi la metà di donne afro-americane sono obese e raggiungeranno la totalità nel 2034. Nei bambini l’obesità raddoppierà nel 2030. L’obesità, inoltre, non è più prerogativa dei paesi industrializzati del mondo occidentale, ma sta aumentando vertiginosamente in quelli in via di sviluppo. Come oramai noto, l’obesità si associa ad aumentata morbilità, a maggiore rischio di disabilità e a peggioramento della qualità di vita; in media, i soggetti obesi hanno una durata della vita minore di circa dieci anni, rispetto a quelli normopeso.
Se questa tendenza sarà confermata, la storia dell’umanità vedrà le prossime generazioni caratterizzarsi per una aspettativa di vita minore delle precedenti.
David Satcher, 16th Surgeon General of the United States, nel suo report 2011 ha chiamato all’azione l’America contro l'epidemia di obesità. Citando anche dati del CDC, egli stima che l'obesità uccida oltre 110.000 americani all'anno. Egli ricorda che l’obesità costa ai datori di lavoro USA 73 miliardi dollari in perdita di produttività. Ancora peggio, gli Stati Uniti spendono più di 300 miliardi di dollari all'anno per curare le patologie legate al peso. E’ stato calcolato che i costi per la salute legati all’obesità duplicheranno ogni decade, sino a raggiungere i 1000 miliardi di dollari nel 2030. In USA, Medicare non rimborsa più la chirurgia bariatrica, se non dopo attenta valutazione e riflessione. Il Surgeon General ammonisce che i costi dell'assistenza sanitaria sono già troppo elevati: continuando a crescere diventeranno insostenibili.
Alcune compagnie aereesi riservano il diritto di far pagare due biglietti a ogni passeggero obeso. Vi sono agenzie per le adozioni che rifiutano candidature di genitori sovrappeso. Si configura il paradosso di una società che produce obesità con ritmo crescente e, nello stesso tempo, stigmatizza l’obeso con gravi pregiudizi.
Nuove problematiche. Al momento, la nostra società rende particolarmente difficile non aumentare di peso. Milioni di persone, molti delle quali povere, vivono in "deserti alimentari", aree prive di facile approvvigionamento di cibi sani, specie di frutta e verdura fresca, cibi peraltro a costi elevati. Queste persone devono spesso accontentarsi mangiare cibi più economici, di più bassa qualità, particolarmente ricchi in grassi che facilitano l’aumento di peso. Milioni di persone vivono in quartieri urbani con pochi parchi e campi da gioco: di conseguenza, spesso hanno poche opportunità per l'attività fisica.
Quid agendum? Dal rapporto del Surgeon General USA si ricava che la crisi dell'obesità non può essere risolta trattandola come un fallimento personale di coloro che pesano troppo o, in genere, della terapia medica o chirurgica. Anche se in questo c’è del vero, è necessario rendersi conto che la situazione non può essere affrontata solo mediante azioni individuali. Sia il settore pubblico e che privato devono attivarsi per garantire ai cittadini di vivere in una società, in cui l’aumento di peso risulti più difficile e il mantenere un peso corretto diventi più facile.
Le opzioni operative: la terapia. Ovviamente, l’unico sistema per risolvere un problema sanitario globale come l’obesità è quello della prevenzione. Non è però possibile dimenticarsi dei milioni di soggetti obesi che abbisognano di cure, anche se ad oggi queste possono sembrano inutili. E’ necessario che la terapia sia condotta mediante applicazione di tutte le armi disponibili, in primis mediante l’educazione terapeutica (ET). Oltre che un modello terapeutico, l’ET rappresenta la premessa necessaria ed indispensabile per ogni altro tipo di intervento, perché mette il paziente in condizione di poter scegliere “scientemente”, il percorso a lui più adatto.
Vi è la richiesta di percorsi diagnostici terapeutici innovativi che tengano conto dei molteplici aspetti medici e non medici del paziente con eccesso ponderale. Emerge, infine, il fabbisogno di formare figure professionali preparate e adeguate.
La prevenzione. La prevenzione dell’obesità inizia con la gravidanza. Le prime esperienze ambientali avvengono durante la vita uterina. Le ricadute delle prime interazioni tra metabolismo materno e prodotto del concepimento hanno conseguenze a medio-lungo e persino lunghissimo termine: si configurerebbe una specie di “programmazione metabolica” che espone il soggetto a rischio di obesità, diabete, ipertensione, ecc, nelle età successive. Anche se vi sono molteplici eccezioni, il peso alla nascita rappresenta un indicatore del rischio futuro di sviluppo di obesità.
Rapida velocità di crescita nei primi mesi, tipo di allattamento (al seno, latte formulato), composizione del latte formulato, modalità di svezzamento, tempi, consistenza e composizione dei pasti, rapido incremento della velocità di crescita ponderale rispetto alla statura: sono dimostrati fattori di rischio di futuro sviluppo di obesità. Nelle stesso modo cruciale è lo stile di vita familiare.
Poiché l’obesità una malattia ad eziologia multifattoriale, gli interventi preventivi dovrebbero essere indirizzati sul numero più elevato possibile di fattori di rischio. Questa esigenza si scontra con problematiche di carattere economico, organizzativo, sociale, politico, familiare che ne rendono difficile la realizzazione. Le strategie di prevenzione dovrebbero essere differenziate in interventi universali, cioè dirette a tutta la popolazione, o mirate, cioè diretti a sottogruppi a particolare rischio.
I risultati delle esperienze disponibili, realizzate soprattutto nell’ambito della scuola, sono scoraggianti, in particolare nel medio termine, come riportato in una recente metanalisi Cochrane.
Prevenire, comunque, si può e si deve, perché, come ha dichiarato il Surgeon General USA “even with all the efforts, the numbers tell the story; that story is not, so far at least, a happy one.” Egli insiste che devono essere coinvolti sia il settore pubblico e che privato: a questo proposito, cita il “First Lady Michelle Obama’s childhood obesity prevention initiative, Let’s Move”. Dobbiamo prendere coscienza che il rischio è troppo elevato. E’ in gioco il futuro stesso della specie umana, che può essere travolta da una deriva antropologica dalle conseguenze imprevedibili.
Bibliografia.
1. Campbell K, Waters E, O'Meara S, Summerbell C. Interventions for preventing obesity in childhood. A systematic review. Obes Rev. 2001; 2(3):149-57.
2. Summerbell CD, Waters E, Edmunds LD, Kelly S, Brown T, Campbell KJ. Interventions for preventing obesity in children. Cochrane Database Syst Rev. 2005 Jul 20;(3):CD001871.
3. Tirosh A, Shai I, Afek A, et al. Adolescent BMI Trajectory and Risk of Diabetes versus Coronary Disease.N Engl J Med, 364;14: 1315-1326, 2011
3. IOM - Institute of Medicine. Early Childhood Obesity Prevention Policies. The National Academic Press. Washington DC, 2011
4. Satcher D. The Surgeon General Looks Back and Forward. In, “F as in Fat”: How obesity threatens America’s future. 2011. Trust for America’s health. www.healthyamericans.org
Obesità: una bomba a orologeria, che deve essere disinnescata, prima che travolga l’intera umanità: La cura o la prevenzione?
Bosello O: Coordinamento e interattività
Spera G: Moderatore
Premesse. Le rilevazioni demografiche degli ultimi decenni, nei paesi del mondo occidentale e anche in quelli in via di sviluppo, hanno continuato a segnalare un aumento a ritmi inaspettati dell’aspettativa di vita, con proiezioni tali da configurare un futuro di ultracentenari. Da qualche anno, però, si è registrata una tendenza all’appiattimento della curva di sopravvivenza e, tra il 2007 e 2008, una pur lieve flessione negli USA. Negli stessi anni, è sotto gli occhi di tutti un aumento drammatico dell’obesità.
Che cosa sta succedendo? I due fenomeni, aumento della longevità e aumento del peso medio della popolazione, sono andati per anni di pari passo perchè ambedue sono conseguenza del progresso scientifico e socioeconomico: minori rischi ambientali di mortalità e più ampie disponibilità alimentari. Attualmente, però, il “peso” morboso dell’obesità ha preso il sopravvento ed ha infranto l’illusione dei cent’anni per tutti. Sconcerta e preoccupa, in particolare, la progressiva incidenza e le relative ipotesi prospettiche di obesità. Nell’Australia Occidentale l’obesità ha superato il fumo come primo fattore di rischio per la salute. Entro due decenni tutti gli Americani adulti saranno in eccesso di peso; quasi la metà di donne afro-americane sono obese e raggiungeranno la totalità nel 2034. Nei bambini l’obesità raddoppierà nel 2030. L’obesità, inoltre, non è più prerogativa dei paesi industrializzati del mondo occidentale, ma sta aumentando vertiginosamente in quelli in via di sviluppo. Come oramai noto, l’obesità si associa ad aumentata morbilità, a maggiore rischio di disabilità e a peggioramento della qualità di vita; in media, i soggetti obesi hanno una durata della vita minore di circa dieci anni, rispetto a quelli normopeso.
Se questa tendenza sarà confermata, la storia dell’umanità vedrà le prossime generazioni caratterizzarsi per una aspettativa di vita minore delle precedenti.
David Satcher, 16th Surgeon General of the United States, nel suo report 2011 ha chiamato all’azione l’America contro l'epidemia di obesità. Citando anche dati del CDC, egli stima che l'obesità uccida oltre 110.000 americani all'anno. Egli ricorda che l’obesità costa ai datori di lavoro USA 73 miliardi dollari in perdita di produttività. Ancora peggio, gli Stati Uniti spendono più di 300 miliardi di dollari all'anno per curare le patologie legate al peso. E’ stato calcolato che i costi per la salute legati all’obesità duplicheranno ogni decade, sino a raggiungere i 1000 miliardi di dollari nel 2030. In USA, Medicare non rimborsa più la chirurgia bariatrica, se non dopo attenta valutazione e riflessione. Il Surgeon General ammonisce che i costi dell'assistenza sanitaria sono già troppo elevati: continuando a crescere diventeranno insostenibili.
Alcune compagnie aereesi riservano il diritto di far pagare due biglietti a ogni passeggero obeso. Vi sono agenzie per le adozioni che rifiutano candidature di genitori sovrappeso. Si configura il paradosso di una società che produce obesità con ritmo crescente e, nello stesso tempo, stigmatizza l’obeso con gravi pregiudizi.
Nuove problematiche. Al momento, la nostra società rende particolarmente difficile non aumentare di peso. Milioni di persone, molti delle quali povere, vivono in "deserti alimentari", aree prive di facile approvvigionamento di cibi sani, specie di frutta e verdura fresca, cibi peraltro a costi elevati. Queste persone devono spesso accontentarsi mangiare cibi più economici, di più bassa qualità, particolarmente ricchi in grassi che facilitano l’aumento di peso. Milioni di persone vivono in quartieri urbani con pochi parchi e campi da gioco: di conseguenza, spesso hanno poche opportunità per l'attività fisica.
Quid agendum? Dal rapporto del Surgeon General USA si ricava che la crisi dell'obesità non può essere risolta trattandola come un fallimento personale di coloro che pesano troppo o, in genere, della terapia medica o chirurgica. Anche se in questo c’è del vero, è necessario rendersi conto che la situazione non può essere affrontata solo mediante azioni individuali. Sia il settore pubblico e che privato devono attivarsi per garantire ai cittadini di vivere in una società, in cui l’aumento di peso risulti più difficile e il mantenere un peso corretto diventi più facile.
Le opzioni operative: la terapia. Ovviamente, l’unico sistema per risolvere un problema sanitario globale come l’obesità è quello della prevenzione. Non è però possibile dimenticarsi dei milioni di soggetti obesi che abbisognano di cure, anche se ad oggi queste possono sembrano inutili. E’ necessario che la terapia sia condotta mediante applicazione di tutte le armi disponibili, in primis mediante l’educazione terapeutica (ET). Oltre che un modello terapeutico, l’ET rappresenta la premessa necessaria ed indispensabile per ogni altro tipo di intervento, perché mette il paziente in condizione di poter scegliere “scientemente”, il percorso a lui più adatto.
Vi è la richiesta di percorsi diagnostici terapeutici innovativi che tengano conto dei molteplici aspetti medici e non medici del paziente con eccesso ponderale. Emerge, infine, il fabbisogno di formare figure professionali preparate e adeguate.
La prevenzione. La prevenzione dell’obesità inizia con la gravidanza. Le prime esperienze ambientali avvengono durante la vita uterina. Le ricadute delle prime interazioni tra metabolismo materno e prodotto del concepimento hanno conseguenze a medio-lungo e persino lunghissimo termine: si configurerebbe una specie di “programmazione metabolica” che espone il soggetto a rischio di obesità, diabete, ipertensione, ecc, nelle età successive. Anche se vi sono molteplici eccezioni, il peso alla nascita rappresenta un indicatore del rischio futuro di sviluppo di obesità.
Rapida velocità di crescita nei primi mesi, tipo di allattamento (al seno, latte formulato), composizione del latte formulato, modalità di svezzamento, tempi, consistenza e composizione dei pasti, rapido incremento della velocità di crescita ponderale rispetto alla statura: sono dimostrati fattori di rischio di futuro sviluppo di obesità. Nelle stesso modo cruciale è lo stile di vita familiare.
Poiché l’obesità una malattia ad eziologia multifattoriale, gli interventi preventivi dovrebbero essere indirizzati sul numero più elevato possibile di fattori di rischio. Questa esigenza si scontra con problematiche di carattere economico, organizzativo, sociale, politico, familiare che ne rendono difficile la realizzazione. Le strategie di prevenzione dovrebbero essere differenziate in interventi universali, cioè dirette a tutta la popolazione, o mirate, cioè diretti a sottogruppi a particolare rischio.
I risultati delle esperienze disponibili, realizzate soprattutto nell’ambito della scuola, sono scoraggianti, in particolare nel medio termine, come riportato in una recente metanalisi Cochrane.
Prevenire, comunque, si può e si deve, perché, come ha dichiarato il Surgeon General USA “even with all the efforts, the numbers tell the story; that story is not, so far at least, a happy one.” Egli insiste che devono essere coinvolti sia il settore pubblico e che privato: a questo proposito, cita il “First Lady Michelle Obama’s childhood obesity prevention initiative, Let’s Move”. Dobbiamo prendere coscienza che il rischio è troppo elevato. E’ in gioco il futuro stesso della specie umana, che può essere travolta da una deriva antropologica dalle conseguenze imprevedibili.
Bibliografia.
1. Campbell K, Waters E, O'Meara S, Summerbell C. Interventions for preventing obesity in childhood. A systematic review. Obes Rev. 2001; 2(3):149-57.
2. Summerbell CD, Waters E, Edmunds LD, Kelly S, Brown T, Campbell KJ. Interventions for preventing obesity in children. Cochrane Database Syst Rev. 2005 Jul 20;(3):CD001871.
3. Tirosh A, Shai I, Afek A, et al. Adolescent BMI Trajectory and Risk of Diabetes versus Coronary Disease.N Engl J Med, 364;14: 1315-1326, 2011
3. IOM - Institute of Medicine. Early Childhood Obesity Prevention Policies. The National Academic Press. Washington DC, 2011
4. Satcher D. The Surgeon General Looks Back and Forward. In, “F as in Fat”: How obesity threatens America’s future. 2011. Trust for America’s health. www.healthyamericans.org