MS13.3.
Drop-out e Cronicità nei DA. Soggettività e adolescenza nei DA: la tentazione dei nuovi sintomi e il drop-out
Università degli studi di Napoli “Federico II” – Dipartimento di Neuroscienze – Sezione Psichiatria
Sorge F
Premesse. Il trattamento delle patologie alimentari si mostra, ai giorni nostri, molto più complicato che negli anni 60/70 quando questo disturbo veniva considerato ancora esotico, per la sua rarità, e elitario, per l’appartenenza delle pazienti affette, in genere alle classi sociali più elevate. Attualmente il disturbo è divenuto endemico e democratico, le pazienti si mostrano sempre più rappresentate unicamente dal sintomo e dalle sue declinazioni, e affette da comorbidità tossicofiliche, il godimento del proprio corpo “in-fame” essendo, poi, senza fondo e senza limite. In realtà, pur riconoscendo la validità e l’utilità di alcuni riferimenti teorici e clinici, la posizione dell’anoressica in quanto soggetto della propria storia, va ricostruita in ragione delle vicende che l’hanno vista costituirsi come soggetto, e il sintomo interrogato come portatore o meno di un messaggio per l’altro genitoriale, operazione logica preliminare per orientarsi privilegiando una clinica del senso e della parola come supporto a una identificazione inedita e da costruire con grande cura e pazienza. Bisogna premettere che il problema dei disturbi alimentari si intreccia indissolubilmente con le vicissitudini del nuovo statuto che il corpo, che si modifica sotto la spinta puberale e propone all’adolescente una sua propria invenzione funzionale alle richieste indifferibili che gli pone il legame sociale con i suoi coetanei. E’ in questa dimensione problematica che il soggetto si trova preso tra il ruolo infantile e dipendente che, fino ad allora ha assunto in famiglia e il desiderio di omologazione all’altro a fronte di una logica dell’Eros e delle ingiunzioni e i divieti SuperEgoici. In questo campo tensionale l’impreparazione al nuovo e l’impossibilità di far fronte al cambiamento possono produrre il matrimonio con il sintomo anoressico bulimico, che, come identità provvisoria e transeunte, si può cronicizzare anche in ragione di risposte distoniche del milieu familiare.
Si assiste allora allo scatenamento della passione per il rifiuto del cibo, che trae forza e sostanza dalla spinta pulsionale e, spesso, conduce a posizioni sacrificali, in un ventaglio dimensionale che va dall’isteria alla psicosi, così comuni nelle forme più gravi.
La prospettiva Psicoanalitica. L’Anoressia si presenta allora come una patologia specifica dell’oralità primaria in cui sono perspicue l’affezione del soggetto al proprio sintomo e la potenza infera del rifiuto. Patologia grave, molto impegnativa nella declinazione di una clinica dell’impotenza terapeutica e dell’angoscia che l’anoressica, stenica e godente di sé, provoca nell’altro.
Occorrerà distinguere i tempi e i significati del rifiuto, in primo luogo nel suo statuto bifronte e cioè quello di marca isterica, metafora di una ricerca d’amore e quello fuori senso, segno del godimento del niente. Il rifiuto si declinerà comunque, nel particolare di ogni soggetto, come rifiuto in funzione di una domanda, in funzione della difesa dal desiderio o dal godimento supposto a un Altro divoratore, in funzione di una separazione non articolata dall’oggetto d’amore primario, la madre nella sua funzione nutritizia, che, secondo il modello che Freud propone in Lutto e Melanconia,verrà poi incorporato e attaccato, come facente parte del proprio corpo stesso, posta in palio mortifera della delusione d’amore.
“Volendo preservare l’integrità immaginaria dell’oggetto da cui prova a separarsi, l’anoressica sogna una separazione senza perdita, che non metta in questione l’economia reale di godimento in cui il soggetto è preso nelle maglie dell’altro. Per questa ragione il diniego della perdita è onnipresente nella clinica dell’anoressia e l’assenza dell’altro è trattata dall’anoressica attraverso la sua riduzione a inesistenza. L’altro che manca diventa un altro inesistente, verso cui il soggetto fa calare il gelo dell’indifferenza”(Cosenza D., 2008).
L’anoressia per altro può essere intesa come una patologia narcisistica e compulsiva con analogia stretta con le pratiche tossicofiliche. Vengono valorizzate la solidarietà tra anoressia e bulimia trattandole alla stregua di “ tossicomanie endogene “ in ragione della perpetuazione di un circuito neuronale appetitivo, in quanto il digiuno aumenta la produzione di endorfine così come le massacranti pratiche sportive che l’anoressica impone al suo corpo. L’Autore sottolinea inoltre come nella forte relazione simbiotica madre-figlia sia l’ eclissi della funzione del padre.
Freud. Vale la pena di ricordare come per primo Freud, a proposito del melanconico, avesse suggerito l’esistenza nel reale, di un’economia entropica e mortifera del godimento, “ Come si possono spiegare gli effetti della melanconia; - egli scrive nella minuta G, che si trova nelle lettere a Fliess – la migliore descrizione di essi: inibizione psichica con impoverimento pulsionale e dolore “ e spiega poi come tale stato produca “ una forte diminuzione dell’eccitamento …. una contrazione nello psichico, la quale ha come effetto di risucchiare i quantitativi di eccitamento contigui. I neuroni associati sono obbligati a rinunciare al loro eccitamento il che produce dolore. Lo sciogliere un’associazione è sempre doloroso. Per una sorta di emorragia interna, Verblutung, si ha un impoverimento che si ripercuote su altre pulsioni o prestazioni”.
L’aspetto tossicofilico melanconico è un paradigma elettivo dell’anoressia, nel senso dell’ipertrofia intellettuale monotonamente centrata sulle tematiche del cibo e della dismorfofobia, dell’identificazione del corpo allo scarto, al resto, al suo essere immondo, o ne rappresenta uno dei modi tipici in cui si gioca la particolarità del soggetto che privilegia l’atto nel suo passaggio in ombra attraverso il mondo, ombra che il suo detestato corpo non vuole neanche più lasci.
La clinica. Comunque sia, si tratta di una clinica impervia che necessita del supporto e dell’interazione di più specialisti. Le pazienti più gravi, che spesso giungono asl ricovero al limite delle loro possibilità vitali, sono destinate a lunghi ricoveri in cui occorrerà fare spazio al soggetto a venire, interrompendo la relazione simbiotica con la figura materna, e che, non escludendo l’intervento medico ove necessario, si proporranno una strategia di attesa e di silenzio, non sottoponendo le pazienti ad alcun tipo di pressione fisica o psichica, tanto meno riguardo al cibo. Sarà questa strategia paradossale che mostra l’assenza di un desiderio precostituito e pregiudiziale cui la classica risposta dell’anoressica è il rifiuto, ad opporsi, paradossalmente, all’onnipotenza dell’oggetto niente. Abbiamo compreso come la clinica dell’anoressia sia una clinica dell’angoscia, in cui va tenuto conto dell’insegnamento sistemico relazionale articolandolo in una strategia di tempi e di luoghi in cui sarà necessario progressivamente disangosciare l’Altro familiare e cercare di aprire nel muro anoressico , costruito dal rifiuto nella sua forma più assoluta, la piccola breccia di un sintomo, di una pur minima soggettivazione che interrompa il pieno di godimento coniugato alla cancellazione del soggetto. L'adolescenza è, per Freud, il periodo in cui il soggetto completa il suo sviluppo intellettivo e, sotto la spinta delle pulsioni sessuali che investono il suo corpo, calibra e definisce il proprio orientamento sessuale e la relazione con l'altro.
In questa riflessione si discute di come disturbi dell'alimentazione, in forma grave e cronicizzata, rappresentino un rifiuto radicale, nelle strutture psicotiche, o un diniego, nel segno di una fantasmatica perversa, all'Altro del Sesso e dell'Amore.
L'adolescenza è, per Freud, il periodo in cui il soggetto completa il suo sviluppo intellettivo e, sotto la spinta delle pulsioni sessuali che investono il suo corpo, calibra e definisce il proprio orientamento sessuale e la relazione con l'altro.
In questa riflessione si discute di come disturbi dell'alimentazione, in forma grave e cronicizzata, rappresentino un rifiuto radicale, nelle strutture psicotiche, o un diniego,nel segno di una fantasmatica perversa, all'Altro del Sesso e dell'Amore. "
Conclusioni. Accade frequentemente che, proprio nella fascia di età adolescenziale, si verifichi il fenomeno dell’ABBANDONO DELLA RELAZIONE TERAPEUTICA, anzi, che frequentemente questa non riesca proprio ad innescarsi (drop-out precoce). Le dinamiche sottostanti sono complesse e già stabilizzate in una struttura psicotica; sono legate alla relazione con l’Altro Materno ed esprimono un vuoto di identità spesso incolmabile.
La relazione con il mondo esterno, mediata dal cibo-droga, non trova altre modalità di espressione e l’ipotesi di una “cura”, che tenderebbe a modificare lo statu quo, è vissuta come minacciosa e angosciante.
Le soluzioni e le terapie sono già implicite e incistate in una relazione materna autoreferenziale e “soddisfacente”; il vuoto e la sofferenza diventano l’unico sostegno all’identità.
Il tempo si cristallizza in una ripetizione ossessiva e perversa di comportamenti che scavano nel corpo alla ricerca puntigliosa di un “nulla”.
Bibliografia.
1. Lacan J (2004) Le séminaire, Livre X. “L’ Angoisse“ Paris Seuil
2. Freud S (1976) “Contributi alla psicologia della vita amorosa” Vol.6, 411-433, O.S.F., TO Boringhieri,
3. Lacadèe Ph (2001) “L’adolescence, une délicate transitino Mental” 9,45-67, Mouscron, Bruxelles.
4. Cosenza D (2008) “Il muro dell'anoressia” Roma Astrolabio, 156-165.
Drop-out e Cronicità nei DA. Soggettività e adolescenza nei DA: la tentazione dei nuovi sintomi e il drop-out
Università degli studi di Napoli “Federico II” – Dipartimento di Neuroscienze – Sezione Psichiatria
Sorge F
Premesse. Il trattamento delle patologie alimentari si mostra, ai giorni nostri, molto più complicato che negli anni 60/70 quando questo disturbo veniva considerato ancora esotico, per la sua rarità, e elitario, per l’appartenenza delle pazienti affette, in genere alle classi sociali più elevate. Attualmente il disturbo è divenuto endemico e democratico, le pazienti si mostrano sempre più rappresentate unicamente dal sintomo e dalle sue declinazioni, e affette da comorbidità tossicofiliche, il godimento del proprio corpo “in-fame” essendo, poi, senza fondo e senza limite. In realtà, pur riconoscendo la validità e l’utilità di alcuni riferimenti teorici e clinici, la posizione dell’anoressica in quanto soggetto della propria storia, va ricostruita in ragione delle vicende che l’hanno vista costituirsi come soggetto, e il sintomo interrogato come portatore o meno di un messaggio per l’altro genitoriale, operazione logica preliminare per orientarsi privilegiando una clinica del senso e della parola come supporto a una identificazione inedita e da costruire con grande cura e pazienza. Bisogna premettere che il problema dei disturbi alimentari si intreccia indissolubilmente con le vicissitudini del nuovo statuto che il corpo, che si modifica sotto la spinta puberale e propone all’adolescente una sua propria invenzione funzionale alle richieste indifferibili che gli pone il legame sociale con i suoi coetanei. E’ in questa dimensione problematica che il soggetto si trova preso tra il ruolo infantile e dipendente che, fino ad allora ha assunto in famiglia e il desiderio di omologazione all’altro a fronte di una logica dell’Eros e delle ingiunzioni e i divieti SuperEgoici. In questo campo tensionale l’impreparazione al nuovo e l’impossibilità di far fronte al cambiamento possono produrre il matrimonio con il sintomo anoressico bulimico, che, come identità provvisoria e transeunte, si può cronicizzare anche in ragione di risposte distoniche del milieu familiare.
Si assiste allora allo scatenamento della passione per il rifiuto del cibo, che trae forza e sostanza dalla spinta pulsionale e, spesso, conduce a posizioni sacrificali, in un ventaglio dimensionale che va dall’isteria alla psicosi, così comuni nelle forme più gravi.
La prospettiva Psicoanalitica. L’Anoressia si presenta allora come una patologia specifica dell’oralità primaria in cui sono perspicue l’affezione del soggetto al proprio sintomo e la potenza infera del rifiuto. Patologia grave, molto impegnativa nella declinazione di una clinica dell’impotenza terapeutica e dell’angoscia che l’anoressica, stenica e godente di sé, provoca nell’altro.
Occorrerà distinguere i tempi e i significati del rifiuto, in primo luogo nel suo statuto bifronte e cioè quello di marca isterica, metafora di una ricerca d’amore e quello fuori senso, segno del godimento del niente. Il rifiuto si declinerà comunque, nel particolare di ogni soggetto, come rifiuto in funzione di una domanda, in funzione della difesa dal desiderio o dal godimento supposto a un Altro divoratore, in funzione di una separazione non articolata dall’oggetto d’amore primario, la madre nella sua funzione nutritizia, che, secondo il modello che Freud propone in Lutto e Melanconia,verrà poi incorporato e attaccato, come facente parte del proprio corpo stesso, posta in palio mortifera della delusione d’amore.
“Volendo preservare l’integrità immaginaria dell’oggetto da cui prova a separarsi, l’anoressica sogna una separazione senza perdita, che non metta in questione l’economia reale di godimento in cui il soggetto è preso nelle maglie dell’altro. Per questa ragione il diniego della perdita è onnipresente nella clinica dell’anoressia e l’assenza dell’altro è trattata dall’anoressica attraverso la sua riduzione a inesistenza. L’altro che manca diventa un altro inesistente, verso cui il soggetto fa calare il gelo dell’indifferenza”(Cosenza D., 2008).
L’anoressia per altro può essere intesa come una patologia narcisistica e compulsiva con analogia stretta con le pratiche tossicofiliche. Vengono valorizzate la solidarietà tra anoressia e bulimia trattandole alla stregua di “ tossicomanie endogene “ in ragione della perpetuazione di un circuito neuronale appetitivo, in quanto il digiuno aumenta la produzione di endorfine così come le massacranti pratiche sportive che l’anoressica impone al suo corpo. L’Autore sottolinea inoltre come nella forte relazione simbiotica madre-figlia sia l’ eclissi della funzione del padre.
Freud. Vale la pena di ricordare come per primo Freud, a proposito del melanconico, avesse suggerito l’esistenza nel reale, di un’economia entropica e mortifera del godimento, “ Come si possono spiegare gli effetti della melanconia; - egli scrive nella minuta G, che si trova nelle lettere a Fliess – la migliore descrizione di essi: inibizione psichica con impoverimento pulsionale e dolore “ e spiega poi come tale stato produca “ una forte diminuzione dell’eccitamento …. una contrazione nello psichico, la quale ha come effetto di risucchiare i quantitativi di eccitamento contigui. I neuroni associati sono obbligati a rinunciare al loro eccitamento il che produce dolore. Lo sciogliere un’associazione è sempre doloroso. Per una sorta di emorragia interna, Verblutung, si ha un impoverimento che si ripercuote su altre pulsioni o prestazioni”.
L’aspetto tossicofilico melanconico è un paradigma elettivo dell’anoressia, nel senso dell’ipertrofia intellettuale monotonamente centrata sulle tematiche del cibo e della dismorfofobia, dell’identificazione del corpo allo scarto, al resto, al suo essere immondo, o ne rappresenta uno dei modi tipici in cui si gioca la particolarità del soggetto che privilegia l’atto nel suo passaggio in ombra attraverso il mondo, ombra che il suo detestato corpo non vuole neanche più lasci.
La clinica. Comunque sia, si tratta di una clinica impervia che necessita del supporto e dell’interazione di più specialisti. Le pazienti più gravi, che spesso giungono asl ricovero al limite delle loro possibilità vitali, sono destinate a lunghi ricoveri in cui occorrerà fare spazio al soggetto a venire, interrompendo la relazione simbiotica con la figura materna, e che, non escludendo l’intervento medico ove necessario, si proporranno una strategia di attesa e di silenzio, non sottoponendo le pazienti ad alcun tipo di pressione fisica o psichica, tanto meno riguardo al cibo. Sarà questa strategia paradossale che mostra l’assenza di un desiderio precostituito e pregiudiziale cui la classica risposta dell’anoressica è il rifiuto, ad opporsi, paradossalmente, all’onnipotenza dell’oggetto niente. Abbiamo compreso come la clinica dell’anoressia sia una clinica dell’angoscia, in cui va tenuto conto dell’insegnamento sistemico relazionale articolandolo in una strategia di tempi e di luoghi in cui sarà necessario progressivamente disangosciare l’Altro familiare e cercare di aprire nel muro anoressico , costruito dal rifiuto nella sua forma più assoluta, la piccola breccia di un sintomo, di una pur minima soggettivazione che interrompa il pieno di godimento coniugato alla cancellazione del soggetto. L'adolescenza è, per Freud, il periodo in cui il soggetto completa il suo sviluppo intellettivo e, sotto la spinta delle pulsioni sessuali che investono il suo corpo, calibra e definisce il proprio orientamento sessuale e la relazione con l'altro.
In questa riflessione si discute di come disturbi dell'alimentazione, in forma grave e cronicizzata, rappresentino un rifiuto radicale, nelle strutture psicotiche, o un diniego, nel segno di una fantasmatica perversa, all'Altro del Sesso e dell'Amore.
L'adolescenza è, per Freud, il periodo in cui il soggetto completa il suo sviluppo intellettivo e, sotto la spinta delle pulsioni sessuali che investono il suo corpo, calibra e definisce il proprio orientamento sessuale e la relazione con l'altro.
In questa riflessione si discute di come disturbi dell'alimentazione, in forma grave e cronicizzata, rappresentino un rifiuto radicale, nelle strutture psicotiche, o un diniego,nel segno di una fantasmatica perversa, all'Altro del Sesso e dell'Amore. "
Conclusioni. Accade frequentemente che, proprio nella fascia di età adolescenziale, si verifichi il fenomeno dell’ABBANDONO DELLA RELAZIONE TERAPEUTICA, anzi, che frequentemente questa non riesca proprio ad innescarsi (drop-out precoce). Le dinamiche sottostanti sono complesse e già stabilizzate in una struttura psicotica; sono legate alla relazione con l’Altro Materno ed esprimono un vuoto di identità spesso incolmabile.
La relazione con il mondo esterno, mediata dal cibo-droga, non trova altre modalità di espressione e l’ipotesi di una “cura”, che tenderebbe a modificare lo statu quo, è vissuta come minacciosa e angosciante.
Le soluzioni e le terapie sono già implicite e incistate in una relazione materna autoreferenziale e “soddisfacente”; il vuoto e la sofferenza diventano l’unico sostegno all’identità.
Il tempo si cristallizza in una ripetizione ossessiva e perversa di comportamenti che scavano nel corpo alla ricerca puntigliosa di un “nulla”.
Bibliografia.
1. Lacan J (2004) Le séminaire, Livre X. “L’ Angoisse“ Paris Seuil
2. Freud S (1976) “Contributi alla psicologia della vita amorosa” Vol.6, 411-433, O.S.F., TO Boringhieri,
3. Lacadèe Ph (2001) “L’adolescence, une délicate transitino Mental” 9,45-67, Mouscron, Bruxelles.
4. Cosenza D (2008) “Il muro dell'anoressia” Roma Astrolabio, 156-165.