MS04.4
Il significato antropologico e psicologico del digiuno.
ASL Napoli 1 Centro, UOSM 24
Milano W
Premesse.La storia dell’uomo, della sua evoluzione, si intreccia con la storia dell’alimentazione e della corrispondente storia della fame e del digiuno. La fame ha attraversato tutta la storia umana, dalle epoche più remore ad oggi.
L’uomo, pertanto, da sempre si è misurato con l’assenza o la carenza di cibo che ha determinato, durante l’evoluzione, una serie di meccanismi biologici e comportamentali rivolti a spingere verso l’assunzione di alimenti.
Conoscenze.Il cibo non viene solo ingerito, prima di essere mangiato viene progettato e dettagliatamente pensato. Il cibo assume quindi una valenza simbolica e segna dunque un importante momento di passaggio dalla naturalità alla cultura e il suo contrario, l’astenersi volontariamente dal mangiare, digiunare, può divenire una tragica ossessione in moltissimi esseri umani (1). La capacità di controllare, di resistere alla fame ha nei secoli suscitato una forma di ritualità nei confronti del digiuno, legati o ad uno stato di purezza o a forme di espiazione. Quasi ogni religione promuove, in un modo o in un altro, il digiuno.
Nelle religioni primitive è spesso un mezzo per controllare o soddisfare le divinità, un modo per favorire la virilità o per prepararsi ad osservanze cerimoniali (2).
Il digiuno era usato dagli antichi greci quando essi consultavano gli oracoli, dagli indiani d’America per acquisire il loro totem privato o dagli sciamani africani per contattare gli spiriti.
Aspirazioni religiose e digiuno spesso sono termini intrinsecamente congiunti (3).
Molte religioni tutt’oggi praticano il digiuno per acquisire chiarezza di visione ed introspezioni mistiche. Discussione.Nel buddismo il digiuno è una importante forma di autodisciplina ed è parte integrante di un percorso di formazione spirituale. Per i buddisti il desiderio è all’origine del male e il desiderio del cibo è uno dei più forti e radicati nell’uomo; distaccarsi dai desideri è parte della salvezza, un’anima illuminata deve saper digiunare. Il Giudaismo, diversi rami del Cristianesimo e l'Islam hanno giorni fissi di digiuno, di solito associati alla disciplina della carne o con il ravvedimento dal peccato.
Durante il medioevo, in particolare tra il XII ed il XIV, periodo di massimo diffusione della filosofia scolastica, San Tommaso d’Aquino e San Bonaventura interpretarono il peccato di gola come un piacere libidinoso che sta alla base di ogni eccesso (4).
Ed è in questo clima che si collocano le sante ascetiche ed anoressiche, che rifiutano il cibo, che coltivano la sofferenza della privazione e del digiuno come metafora dell’ispirazione religiosa e che quindi suscitarono ammirazione e meraviglia nei contemporanei. Santa Caterina da Siena, dottore della Chiesa, descriveva la fame, il digiuno portato all’estremo limite, il vomito, la prostrazione nella preghiera come immagini centrali e decisive nell’incontro con Dio. Per Santa Caterina, come per tante altre sante ascetiche del tempo, la sofferenza, il travaglio del digiuno, non appariva come un disvalore, come possiamo immaginarlo ora, ma come purificazione e progetto di elevazione spirituale, come rifiuto di un corpo che può essere visto come luogo di tentazione e strumento di peccato, ben adattato alla cultura religiosa medievale(5).
Conclusioni.Tutte queste implicazioni di natura antropologica come la ritualità del digiuno, con tutte le connessioni psicologiche legate all’astensione, parziale o totale, possono coinvolgere svariate tipologie di persone e di personalità.
Alcuni hanno consapevolmente scelto di digiunare fino lasciarsi morire di fame, come chi arriva alle estreme conseguenze dello sciopero della fame come strumento politico o come forma di protesta. Altri ancora hanno digiunato come le sante ascetiche spinte al parossismo dal fervore religioso o come alcuni monaci buddisti quasi consumati e mummificati dalla privazione di cibo o come le tante moderne ragazze anoressiche, dai corpi emaciati e ridotti a scheletri viventi, che vivono non nei luoghi della fame ma dove si può accedere ad una quasi illimitata disponibilità di cibo. Ed infine si giunge ai tanti siti sul WEB che inneggiano al digiuno, che esaltano la capacità di resistere ossessivamente alla fame, che celebrano il controllo totale sulla denutrizione in contrasto totale con la natura e la biologia, siti pro anoressia che la presentano come esito di una scelta eroica e come una superiore forma di vita.
Bibliografia.
1. Harris M (1992) “Buono da mangiare” Torino, Einaudi Editore
2. Levì-Strauss C (1966) “Il crudo e il cotto” Milano, Il Saggiatore Editore
3. Montanari M (2006) “La fame e l’abbondanza” Bari, Laterza Editore
4. Rossi P (2011) “Mangiare” Bologna, Il Mulino Editore
5. Vandereycken W (1995) “Dalle sante ascetiche alle ragazze anoressiche: il rifiuto del cibo nella storia” Milano, Raffaello Cortina Editore
Il significato antropologico e psicologico del digiuno.
ASL Napoli 1 Centro, UOSM 24
Milano W
Premesse.La storia dell’uomo, della sua evoluzione, si intreccia con la storia dell’alimentazione e della corrispondente storia della fame e del digiuno. La fame ha attraversato tutta la storia umana, dalle epoche più remore ad oggi.
L’uomo, pertanto, da sempre si è misurato con l’assenza o la carenza di cibo che ha determinato, durante l’evoluzione, una serie di meccanismi biologici e comportamentali rivolti a spingere verso l’assunzione di alimenti.
Conoscenze.Il cibo non viene solo ingerito, prima di essere mangiato viene progettato e dettagliatamente pensato. Il cibo assume quindi una valenza simbolica e segna dunque un importante momento di passaggio dalla naturalità alla cultura e il suo contrario, l’astenersi volontariamente dal mangiare, digiunare, può divenire una tragica ossessione in moltissimi esseri umani (1). La capacità di controllare, di resistere alla fame ha nei secoli suscitato una forma di ritualità nei confronti del digiuno, legati o ad uno stato di purezza o a forme di espiazione. Quasi ogni religione promuove, in un modo o in un altro, il digiuno.
Nelle religioni primitive è spesso un mezzo per controllare o soddisfare le divinità, un modo per favorire la virilità o per prepararsi ad osservanze cerimoniali (2).
Il digiuno era usato dagli antichi greci quando essi consultavano gli oracoli, dagli indiani d’America per acquisire il loro totem privato o dagli sciamani africani per contattare gli spiriti.
Aspirazioni religiose e digiuno spesso sono termini intrinsecamente congiunti (3).
Molte religioni tutt’oggi praticano il digiuno per acquisire chiarezza di visione ed introspezioni mistiche. Discussione.Nel buddismo il digiuno è una importante forma di autodisciplina ed è parte integrante di un percorso di formazione spirituale. Per i buddisti il desiderio è all’origine del male e il desiderio del cibo è uno dei più forti e radicati nell’uomo; distaccarsi dai desideri è parte della salvezza, un’anima illuminata deve saper digiunare. Il Giudaismo, diversi rami del Cristianesimo e l'Islam hanno giorni fissi di digiuno, di solito associati alla disciplina della carne o con il ravvedimento dal peccato.
Durante il medioevo, in particolare tra il XII ed il XIV, periodo di massimo diffusione della filosofia scolastica, San Tommaso d’Aquino e San Bonaventura interpretarono il peccato di gola come un piacere libidinoso che sta alla base di ogni eccesso (4).
Ed è in questo clima che si collocano le sante ascetiche ed anoressiche, che rifiutano il cibo, che coltivano la sofferenza della privazione e del digiuno come metafora dell’ispirazione religiosa e che quindi suscitarono ammirazione e meraviglia nei contemporanei. Santa Caterina da Siena, dottore della Chiesa, descriveva la fame, il digiuno portato all’estremo limite, il vomito, la prostrazione nella preghiera come immagini centrali e decisive nell’incontro con Dio. Per Santa Caterina, come per tante altre sante ascetiche del tempo, la sofferenza, il travaglio del digiuno, non appariva come un disvalore, come possiamo immaginarlo ora, ma come purificazione e progetto di elevazione spirituale, come rifiuto di un corpo che può essere visto come luogo di tentazione e strumento di peccato, ben adattato alla cultura religiosa medievale(5).
Conclusioni.Tutte queste implicazioni di natura antropologica come la ritualità del digiuno, con tutte le connessioni psicologiche legate all’astensione, parziale o totale, possono coinvolgere svariate tipologie di persone e di personalità.
Alcuni hanno consapevolmente scelto di digiunare fino lasciarsi morire di fame, come chi arriva alle estreme conseguenze dello sciopero della fame come strumento politico o come forma di protesta. Altri ancora hanno digiunato come le sante ascetiche spinte al parossismo dal fervore religioso o come alcuni monaci buddisti quasi consumati e mummificati dalla privazione di cibo o come le tante moderne ragazze anoressiche, dai corpi emaciati e ridotti a scheletri viventi, che vivono non nei luoghi della fame ma dove si può accedere ad una quasi illimitata disponibilità di cibo. Ed infine si giunge ai tanti siti sul WEB che inneggiano al digiuno, che esaltano la capacità di resistere ossessivamente alla fame, che celebrano il controllo totale sulla denutrizione in contrasto totale con la natura e la biologia, siti pro anoressia che la presentano come esito di una scelta eroica e come una superiore forma di vita.
Bibliografia.
1. Harris M (1992) “Buono da mangiare” Torino, Einaudi Editore
2. Levì-Strauss C (1966) “Il crudo e il cotto” Milano, Il Saggiatore Editore
3. Montanari M (2006) “La fame e l’abbondanza” Bari, Laterza Editore
4. Rossi P (2011) “Mangiare” Bologna, Il Mulino Editore
5. Vandereycken W (1995) “Dalle sante ascetiche alle ragazze anoressiche: il rifiuto del cibo nella storia” Milano, Raffaello Cortina Editore