TR3.3
Il modello Cognitivo Comportamentale Transdiagnostico di Fairburn
Università di Roma La Sapienza, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Fisiopatologia Medica ed Endocrinologia
Prosperi E, Fioretti A
Premessa. Il DSM-IV classifica i Disturbi del Comportamento Alimentare come una serie di disturbi distinti. Fairburn ha proposto un modello cosiddetto Transdiagnostico che include tutti i disturbi alimentari in una singola categoria unitaria in quanto i pazienti con Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e Disturbi dell'Alimentazione Non Altrimenti Specificati hanno una serie di caratteristiche comuni. Inoltre gli studi sul loro decorso indicano una migrazione, con il tempo, da una categoria diagnostica all'altra.
Conoscenze. Le diagnosi dei disturbi alimentari valgono nel momento in cui si sviluppa il disturbo, ma si modificano con il passare del tempo. Non è raro incontrare persone che inizialmente hanno ricevuto diagnosi di Anoressia Nervosa, poi di Bulimia Nervosa e infine si trovano in uno “stato misto”. Tecnicamente parlando hanno avuto tre distinti disturbi psichiatrici (AN, BN, EDNOS), mentre sia il buon senso sia l'esperienza soggettiva dell'individuo suggeriscono che essi hanno avuto un unico disturbo alimentare che si è evoluto nel tempo.
I disturbi dell'Alimentazione condividono lo stesso nucleo psicopatologico caratterizzato dall'eccessiva valutazione e controllo della forma del corpo e del peso. Questo nucleo psicopatologico influisce sulle abitudini alimentari principalmente con la restrizione dietetica cognitiva, cioè con una serie di regole alimentari specifiche finalizzate a limitare la quantità di cibo. Le regole alimentari riguardano principalmente quando, quanto e soprattutto cosa si deve mangiare. L'utilizzo di regole eccessivamente rigide rende l'alimentazione un'esperienza ansiogena, determina una divisione dei cibi in buoni e cattivi, causa una preoccupazione sull'alimentazione e predispone all'abbuffata.
Modello teorico. Il trattamento cognitivo comportamentale transdiagnostico non si basa sul disturbo alimentare specifico del paziente, considerato irrilevante ai fini terapeutici, ma piuttosto pone particolare attenzione alle caratteristiche psicopatologiche e ai fattori di mantenimento (il perfezionismo clinico, una bassa autostima nucleare, i problemi interpersonali e l'intolleranza alle emozioni).
É indispensabile coinvolgere il paziente nel trattamento, attraverso un atteggiamento empatico, coinvolgendolo nel processo di assessment, infondendogli la speranza ed informandosi sulle preoccupazioni che può avere.
Un passo essenziale è la riproduzione visiva dei processi che sembrano conservare il disturbo alimentare del paziente (formulazione del caso). É preferibile usare i termini del paziente invece di quelli tecnici, semplificando lo schema per non creare confusione. La spiegazione dello svolgimento del trattamento diventa una condizione indispensabile per rendere il paziente consapevole del percorso che dovrà affrontare. La formulazione del caso costruita insieme al paziente può aiutarlo a distanziarsi dal disturbo alimentare nel momento in cui non si sente più solo una persona con un problema ma un individuo che con curiosità cerca di comprendere il motivo per cui persiste.
La cosiddetta CBT-E (Terapia Cognitivo Comportamentale “Migliorata” per i Disturbi dell'Alimentazione) prevede in genere 20 sedute e 4 fasi. La prima fase è intensiva con appuntamenti bisettimanali, la seconda fase è breve e serve a fare una revisione del lavoro svolto, ad identificare gli ostacoli incontrati e a pianificare la terza fase che si propone di affrontare i meccanismi di mantenimento del disturbo alimentare. La quarta fase pone l'attenzione al futuro, al mantenimento dei cambiamenti ottenuti e alla riduzione dei rischi di ricaduta a lungo termine. Il numero di sedute raddoppia con i pazienti che hanno un BMI tra 15 e 17,5
Conclusioni. Lo stesso Fairburn riconosce l'importanza di mantenere un'apertura mentale per migliorare il trattamento partendo dai fallimenti e le difficoltà che ci sono nel formare e supervisionare un personale adatto ad affrontare problematiche così complesse.
Bibliografia.
1. Fairburn C. (2010), “La Terapia Cognitivo Comportamentale dei Disturbi dell'Alimentazione”, Firenze, Casa Editrice Eclipsi
Il modello Cognitivo Comportamentale Transdiagnostico di Fairburn
Università di Roma La Sapienza, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Fisiopatologia Medica ed Endocrinologia
Prosperi E, Fioretti A
Premessa. Il DSM-IV classifica i Disturbi del Comportamento Alimentare come una serie di disturbi distinti. Fairburn ha proposto un modello cosiddetto Transdiagnostico che include tutti i disturbi alimentari in una singola categoria unitaria in quanto i pazienti con Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e Disturbi dell'Alimentazione Non Altrimenti Specificati hanno una serie di caratteristiche comuni. Inoltre gli studi sul loro decorso indicano una migrazione, con il tempo, da una categoria diagnostica all'altra.
Conoscenze. Le diagnosi dei disturbi alimentari valgono nel momento in cui si sviluppa il disturbo, ma si modificano con il passare del tempo. Non è raro incontrare persone che inizialmente hanno ricevuto diagnosi di Anoressia Nervosa, poi di Bulimia Nervosa e infine si trovano in uno “stato misto”. Tecnicamente parlando hanno avuto tre distinti disturbi psichiatrici (AN, BN, EDNOS), mentre sia il buon senso sia l'esperienza soggettiva dell'individuo suggeriscono che essi hanno avuto un unico disturbo alimentare che si è evoluto nel tempo.
I disturbi dell'Alimentazione condividono lo stesso nucleo psicopatologico caratterizzato dall'eccessiva valutazione e controllo della forma del corpo e del peso. Questo nucleo psicopatologico influisce sulle abitudini alimentari principalmente con la restrizione dietetica cognitiva, cioè con una serie di regole alimentari specifiche finalizzate a limitare la quantità di cibo. Le regole alimentari riguardano principalmente quando, quanto e soprattutto cosa si deve mangiare. L'utilizzo di regole eccessivamente rigide rende l'alimentazione un'esperienza ansiogena, determina una divisione dei cibi in buoni e cattivi, causa una preoccupazione sull'alimentazione e predispone all'abbuffata.
Modello teorico. Il trattamento cognitivo comportamentale transdiagnostico non si basa sul disturbo alimentare specifico del paziente, considerato irrilevante ai fini terapeutici, ma piuttosto pone particolare attenzione alle caratteristiche psicopatologiche e ai fattori di mantenimento (il perfezionismo clinico, una bassa autostima nucleare, i problemi interpersonali e l'intolleranza alle emozioni).
É indispensabile coinvolgere il paziente nel trattamento, attraverso un atteggiamento empatico, coinvolgendolo nel processo di assessment, infondendogli la speranza ed informandosi sulle preoccupazioni che può avere.
Un passo essenziale è la riproduzione visiva dei processi che sembrano conservare il disturbo alimentare del paziente (formulazione del caso). É preferibile usare i termini del paziente invece di quelli tecnici, semplificando lo schema per non creare confusione. La spiegazione dello svolgimento del trattamento diventa una condizione indispensabile per rendere il paziente consapevole del percorso che dovrà affrontare. La formulazione del caso costruita insieme al paziente può aiutarlo a distanziarsi dal disturbo alimentare nel momento in cui non si sente più solo una persona con un problema ma un individuo che con curiosità cerca di comprendere il motivo per cui persiste.
La cosiddetta CBT-E (Terapia Cognitivo Comportamentale “Migliorata” per i Disturbi dell'Alimentazione) prevede in genere 20 sedute e 4 fasi. La prima fase è intensiva con appuntamenti bisettimanali, la seconda fase è breve e serve a fare una revisione del lavoro svolto, ad identificare gli ostacoli incontrati e a pianificare la terza fase che si propone di affrontare i meccanismi di mantenimento del disturbo alimentare. La quarta fase pone l'attenzione al futuro, al mantenimento dei cambiamenti ottenuti e alla riduzione dei rischi di ricaduta a lungo termine. Il numero di sedute raddoppia con i pazienti che hanno un BMI tra 15 e 17,5
Conclusioni. Lo stesso Fairburn riconosce l'importanza di mantenere un'apertura mentale per migliorare il trattamento partendo dai fallimenti e le difficoltà che ci sono nel formare e supervisionare un personale adatto ad affrontare problematiche così complesse.
Bibliografia.
1. Fairburn C. (2010), “La Terapia Cognitivo Comportamentale dei Disturbi dell'Alimentazione”, Firenze, Casa Editrice Eclipsi